Ieri pomeriggio per la prima volta l'intera città, non solo una parte, si è ritrovata per ricordare Sergio Ramelli e con lui, idealmente, tutte quelle giovani vite allora spezzate dal furore ideologico. Alle 15 il sindaco comunista Giuliano Pisapia ha infatti fatto ingresso nei giardini dedicati al giovane militante del Msi per deporre una corona sul suo cippo. «Perché questi fatti non accadano mai più» ha commentato asciutto lasciando la cerimonia.
Ramelli suo malgrado è diventato così uno spartiacque, con un prima e un dopo, fin da quando fu portato in ospedale il 13 marzo 1975 agonizzante, dopo essere stato sprangato da un commando di Avanguardia Operaia. Non era un violento, non era un «picchiatore», aveva solamente scritto un tema di condanna nei confronti delle Brigate rosse. Nessuna autorità accorse al suo capezzale e solo Sandro Pertini, allora presidente della Camera, mandò un telegramma di cordoglio alla famiglia il giorno della sua morte il 29 aprile, definendo l'aggressione «vile e criminale». Ma l'anno dopo l'onorevole Sergio Servello dovette recarsi dall'allora vescovo di Milano Giovanni Colombo, per trovare un prete che officiasse la messa in suffragio. E da allora un odio implacabile è caduto su Ramelli, come su tanti altri giovani vittime.
Un odio che ancora non cessa, basta sentire le accuse del segretario regionale di Rifondazione Antonello Patta contro i «Ponzio Pilato» che devono decidere da parte stare. Come dire: non da quella di Ramelli. Pacificazione? Risponde Mirko Mazzali consigliere di Sel : «Non la puoi fare con chi fomenta razzismo, xenofobia, superiorità di una razza». Sul tema anche Anita Sonego, capogruppo Sinistra per Pisapia in Comune e Matteo Prencipe, segretario provinciale dei rifondaroli: «Con chi fomenta ogni giorno la caccia xenofoba nei nostri quartieri e organizza il nuovo nazi-fascismo non c'è, per i democratici e gli antifascisti, pacificazione alcuna». E così grazie a loro, abbiamo scoperto che Ramelli «fomentava». Ma dopo quasi 40 anni, e con non pochi tentennamenti, Pisapia ha voluto spezzare questa spirale. Lunedì sera aveva risposto a Riccardo De Corato che lo accusava di non presentarsi alla commemorazione con un sibillino «Chi ha detto che non andrò?». E difatti ieri alle 15 in punto ha fatto ingresso nei giardini di via Pinturicchio dove alcune decine di ex missini attendevano nervosi. Con lui mezzo stato maggiore Pd: l'assessore Pierfrancesco Maran, il coordinatore Pietro Bussolati, il capogruppo Lamberto Bertolè, i consiglieri Carlo Monguzzi, Andrea Fanzago, Anna Scavuzzo, Natale Comotti, Filippo Barberis. Pochi minuti per deporre un corona sul cippo, poi attorniato dai giornalisti ha quasi sussurrato: «In nome di una pacificazione nazionale. Perché questi fatti non accadano mai più. C'è scritto sulla lapide e quello che è scritto vale molto di più delle parole» e in effetti c'è ben poco da aggiungere. Un pensiero poi anche ai cortei della serata. «Penso che la nostra presenza possa servire a evitare che questo pomeriggio (ieri per chi legge) sorgano problemi non tanto di ordine pubblico ma di convivenza fra chi ha idee opposte».
Un'apertura, un bel gesto di distensione «molto apprezzato» dal coordinatore cittadino di Forza Italia Giulio Gallera e che ha quasi fatto venire le lacrime agli occhi al vecchio nemico Riccardo De Corato: «La pacificazione si fa con i gesti, non con le parole, e la presenza oggi del sindaco è un segnale che va in questa direzione». Chissà che adesso non sia iniziato il «dopo» e Ramelli davvero non sia morto invano.
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