Pomodoro ultimo atto la Fondazione sgombera

Pomodoro ultimo atto la Fondazione sgombera

Se ne parlava da tanti mesi. Anzi, quel che è peggio, non se ne parlava proprio più da quando, lo scorso settembre, il maestro Arnaldo Pomodoro aveva ufficialmente dichiarato che il «leone» si era ormai arreso. Aveva cioè staccato la spina alla sua creatura, l’omonima fondazione inaugurata nel 2005 e che aveva fatto esultare il popolo delle mostre per la nascita della prima «kunshalle» milanese, un grande luogo espositivo dove ospitare la ricerca nell’arte contemporanea. Ieri, a sei mesi dall’addio al programma di mostre, ecco la penosa immagine di una gru intenta a sgomberare i tremila metri quadri in via Solari 35 dalle mastodontiche sculture che il maestro aveva voluto donare alla Fondazione come eredità culturale del proprio ego artistico. A vegliare il trasloco, un Pomodoro che ha già eleborato il lutto e che ha già detto tutto quello che aveva da dire e omesso tutto ciò che si era sentito di omettere. Quel che è certo, è che il decano dell’arte milanese non se la sentiva più di gestire un impegnativo spazio dedicato alla cultura i cui costi fissi superavano i due milioni di euro l’anno. Una spesa impossibile da ammortizzare con l’afflusso di visitatori che lasciavano nelle casse poco più di centomila euro l’anno; nè è valso a salvare il progetto l’intervento di Unicredit come main sponsor della Fondazione, intervento coinciso con la nomina e poi l’immediato forfait di Angela Vettese alla direzione della struttura. Ben altro ci voleva, come un solido intervento da parte delle istituzioni a più riprese invocato dal maestro e dal suo entourage, speranza stroncata dal clima di drastici tagli ai capitoli dei bilanci pubblici dei Comuni. E allora, lo scorso settembre, uno stringato comunicato annunciava la fine della programmazione espositiva che prevedeva in calendario una grande mostra del poverista Giuseppe Penone e quella dello scultore croato Igor Eškinja. «Lo scultore è stanco, ha compiuto 85 anni» era stata la motivazione ufficiale. Le vere ragioni, però, erano note a tutti. «È una triste notizia» fu il commento dell’appena insediato assessore Stefano Boeri che poi aveva aggiunto: «Quando si chiude un luogo importante dell’arte vuol dire che qualcosa non ha funzionato; vedremo come riprendere quello spazio all’interno delle realtà milanesi dedicate all’arte milanese». Un proposito, questo, ribadito anche a fine novembre in occasione degli «stati generali» della cultura nella sala Weiss del Castello Sforzesco. Del resto, l’ex officina di turbine Riva & Calzoni, con le sue volumetrie da archeologia industriale che tanto la fanno rassomigliare a una Tate Modern in miniatura, sembrerebbe fatta apposta per ospitare quel museo contemporaneo ormai rimasto nel cassetto dopo l’ufficioso addio al progetto di Libeskind. Oltre alla collezione dell’ottantacinquenne artista milanese, la Fondazione ha ospitato mostre impegnative (e ingombranti) come la grande antologica dedicata alla scultura italiana del XX secolo.

Ma il Comune fa capire che, a casse vuote, sarà impossibile per la città farsi carico del progetto. Per il momento, resta solo la mesta immagine di una gru che ieri ha lasciato vuoto un luogo che sembra lontano anni luce dalla folla che assiepò il concerto inaugurale di Ennio Morricone.

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