É uno di quei gioielli che Milano custodisce dietro le quinte più impensate, imboscati nel chiuso di facciate anonime delle sue zone centrali. Una importante famiglia ha l'indubbio piacere di esserne la proprietaria. Sgradevole effetto collaterale: l'intera famiglia si trova ora sotto processo davanti alla sesta sezione penale del tribunale, accusata di avere trasformato il gioiello nel proprio parcheggio privato. Perché è ben vero che è roba loro, ma è altrettanto vero - secondo il sostituto procuratore Grazia Colacicco - che si tratta di un bene di inestimabile valore storico, tutelato dallo Stato, che non può essere destinato a ricovero per automobili.
Corso di Porta Romana 76. La facciata è degli anni Cinquanta. Un cartello sul portone avvisa che da lì si può accedere solo alla parte «moderna» dello stabile. Poco più oltre, superato l'androne, una cancellata impedisce l'ingresso al gioiello. É il Giardino dell'Arcadia, realizzato nel 1704 dal conte Pertusati, esponente della aristocrazia milanese nel cosiddetto «secolo dei Lumi». E illuminato il conte lo era davvero. Tanto da realizzare il giardino per farne un punto di ritrovo degli intellettuali e degli artisti dell'epoca. Da lì il nome, e anche il soprannome di «casa delle Muse». Dei vialetti, dei giochi d'acqua, della ricca vegetazione che ospitavano le serate, è rimasta solo una parte. Ma più che sufficiente a strabuzzare gli occhi. Ai piedi di una statua, una lapide ricorda autore e finanziatore: «Nel 1703 per opera di Giovanni Antonio Mezzabarba fu istituita la prima sede degli arcadi milanesi nella casa e giardino detto Orto Erculeo, della Eccellentissima Famiglia Pertusati».
Nel corso dei secoli, dai Pertusati la proprietà dell'Arcadia è approdata nelle mani di un'altra famiglia con quattro quarti di nobiltà, quella del conte Alessandro Parrocchetti Piantanida. E sono il conte ed i suoi familiari a trovarsi ora a dover fronteggiare il processo per il reato previsto dalla legge del 2004 che punisce con il carcere da sei mesi ad un anno «chiunque destina i beni culturali ad uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità».
E proprio questo, forse grazie alla denuncia di qualche dirimpettaio non proprio amico, sono accusati di avere fatto il conte, due sorelle e un fratello sacerdote. Dopo i rilievi ordinati dalla pm Colacicco, l'area era stata posta sotto sequestro, poi dissequestrata dopo che le auto erano sparite dall'Arcadia, ma il processo penale è ugualmente andato avanti. Gli imputati avrebbero potuto togliersi di impaccio accettando un decreto penale di condanna e sborsando una cifra consistente, ma per loro forse abbordabile. Invece hanno preferito affrontare il processo, e ora si trovano a giudizio davanti al tribunale.
É la seconda volta che le cronache giudiziarie compare il nome dei Parrocchetti Piantanida, ma la prima volta fu in veste di vittime: nel 2003 la loro villa di Morazzone fu svaligiata da ladri su commissione, che con un camion nottetempo la svuotarono da mobili e quadri.
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