LA PROVA Il video di un telefonino essenziale per la ricostruzione dei fatti

Volevano picchiarlo, fargli male: e invece lo hanno ammazzato. È questa - in sintesi - la lettura che ieri il giudice preliminare Alfonsa Ferraro dà di quanto accadde davanti all'Ortomercato, in via Varsavia, nella notte del 30 giugno 2011. Quattro poliziotti intervennero per placare un uomo che schiamazzava davanti a un bar, e l'intervento finì in tragedia. Michele Ferrulli, 57 anni, morì sotto i colpi degli uomini in divisa.
Già la Procura della Repubblica, chiudendo le indagini, aveva smontato la versione autoassolutoria dei poliziotti, che negavano quasi di avere toccato il poveretto: e il pm Gaetano Ruta aveva chiesto il rinvio a giudizio di tutto l'equipaggio per omicidio colposo, oltre che per avere falsificato i verbali. Ieri mattina il gip va ancora più in là, e sostituisce l'accusa di omicidio colposo con quella di omicidio preterintenzionale.
La differenza è grande, sia nella ricostruzione dei fatti che nelle sue conseguenze processuali. Da un'imputazione punita al massimo con cinque anni di carcere, i quattro agenti il 4 dicembre si troveranno in Corte d'assise a difendersi da un'accusa che potrebbe costargli fino a tredici anni: perché si troveranno a dover rispondere di avere volontariamente, deliberatamente picchiato l'uomo.
Non sapevano che era malato, segnato nel fisico dall'obesità e dall'alcol. Ma questo per il gip non è una scusante. E d'altronde già la richiesta di rinvio a giudizio del pm Ruta lasciava poco spazio ai dubbi.
Le accuse lanciate contro gli agenti dai familiari del morto, che fin da subito avevano parlato di omicidio, inizialmente erano state prese in poca considerazione: anche, va detto, per via di una certa connotazione ideologica, per il surplus di polemica politica con cui il comitato degli inquilini Aler di via Calvairate, di cui Ferrulli era uno dei leader storici, aveva condito le accuse alla polizia, e che ne aveva smussato la credibilità. Ma durante le indagini Ruta non si era fatto condizionare nè dai rapporti di buon vicinato con la Questura nè dal contesto sociale del morto. E si era limitato a scavare con meticolosità, secondo per secondo, nella dinamica dei fatti. Aveva sul tavolo un video dei momenti del fermo girato col telefonino da un testimone, da notevole distanza: ma si capiva poco e niente. Poi, però, di video ne è saltato fuori un altro, e questo decisamente più chiaro. I fotogrammi raccontavano una storia ben diversa da quella messa a verbale dai poliziotti, secondo cui Ferrulli si era agitato, aveva fatto resistenza, aveva dato di matto, e si era dovuto in qualche modo immobilizzarlo. Niente di vero, secondo il pm.

Gli agenti, aveva scritto Ruta nella richiesta di rinvio a giudizio, colpivano «ripetutamente la persona offesa in diverse parti del corpo, pur essendo in evidente superiorità numerica e continuando a colpirla anche attraverso l'uso di corpi contundenti quando la stessa era immobilizzata a terra, in posizione prona, non era in grado di reagire e invocava aiuto». Per Ruta era omicidio colposo, per il giudice omicidio preterintenzionale; per la polizia milanese un'altra brutta pagina, una storia che non si può spiegare se non con la carenza dei controlli psicoattitudinali.

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