Cronaca locale

"Queste piste fatte male scoraggiano le biciclette"

Il campione olimpico oggi commentatore in tv. "L'insicurezza problema per mobilità e sport"

"Queste piste fatte male scoraggiano le biciclette"

Ha vinto un oro olimpico, è stato cinque volte campione mondiale, 14 volte tricolore e vanta 28 successi nelle «Sei giorni», fra cui (quattro volte) la Sei giorni di Milano.

Silvio Martinello è uno dei più blasonati ciclisti italiani su strada e su pista. E dopo aver corso ai massimi livelli per 18 anni oggi è un brillante commentatore di tv e radio, ha appena sfiorato la presidenza della Federazione ciclistica - vuole riprovare - ed è anche un «normale» utente delle due ruote. Impegnato alla «Adriatica Ionica Race», una corsa a tappe di tre giorni, trova il modo di ragionare sulle piste ciclabili mal realizzate, che stanno diventando un problema non solo per la mobilità urbana, ma anche per il movimento ciclistico.

Martinello, va sempre in bici?

«Sì, al di là della mia passione, sono un grande utilizzatore della bicicletta per gli spostamenti. Nella mia città, Padova, c'è una certa ricchezza di percorsi ciclabili, ma anche diversi problemi: piste non connesse o usate come parcheggi, o pericolose. Conosco il tema. E me ne sono occupato anche come candidato alla presidenza della federazione ciclistica».

Perché la federazione è interessata a questo tema?

«Perché la percezione di insicurezza, che è evidente e palese, è condivisa anche dalle famiglie, ancora molto restie a mettere i figli in bici anche solo per mandarli a scuola. E invece fra chi usa la bici ci può essere chi poi intraprende un percorso agonistico. In alcuni Paesi virtuosi sono state fatte politiche di attenzione alla mobilità ciclistica e sono aumentati i tesserati».

L'insicurezza deprime la pratica e il movimento sportivo.

«Sì, soprattutto fra i giovani. Ora c'è stata una riscoperta della bicicletta, sono stati svuotati i magazzini, si è partiti col dare un inventivo economico con certi vincoli, ma le amministrazioni dalla sera alla mattina hanno fatto le ciclabili andando a pitturare una striscia bianca sulla strada quando invece sarebbe stato e sarebbe più utile realizzare delle vere e proprie infrastrutture ciclistiche, con tutti i requisiti del caso».

Conosce il caso di Milano?

«Sì, ha lo stesso problema che hanno tante altre città, la mancanza di connessione fra i percorsi e anche di cultura nell'utilizzo, tanto che i tratti esistenti sono usati come parcheggio occasionale. Mi è capitato anche di litigare per questo».

Le ciclabili, così, diventano spesso corsie di carico-scarico

«Per un cambiamento vero ci vuole tempo. Bisognerebbe partire dalle scuole, facendo crescere una generazione più attenta della nostra. E più che questo tipo di ciclabili occorrerebbero infrastrutture intelligenti e serie. Le nostre città sono spesso antiche e incompatibili con le bici, ma il mondo sta andando in una certa direzione, le risorse dovrebbero servire progetti con certi requisiti, per realizzare qualcosa di veramente alternativo al mezzo motorizzato».

I monopattini?

«Rientrano in questo discorso, ma vanno regolamentati, possono essere molto pericolosi, come le stesse ciclo-pedonali. Rischiamo di riempire i pronto soccorso. Bisogna pensare a infrastrutture serie».

Perché i Comuni cercano scorciatoie?

«Intanto perché va di moda. Per dire: Abbiamo realizzato tot chilometri. Perfetto, ma poi è una striscia bianca che delimita una carreggiata, e i dati incontrovertibili dicono che la distrazione dovuta a certi strumenti è causa di incidenti anche gravi. L'agonismo è altro, va altrove, ma noi dobbiamo puntare sulla percezione di sicurezza, in infrastrutture non necessariamente parallele al percorso auto. Servono dei piani. In Olanda hanno fatto scuola, i percorsi sono svincolati da quelli del traffico. Qui la logica è: facciamo tre chilometri, poi altri tre...».

C'è anche un aspetto turistico importante.

«Certo, ed è ora di pensare in modo davvero nuovo, anche per l'arrivo in massa dei mezzi assistiti, che aprono un mercato anche a chi finora era escluso, e consentirebbero di arrivare in ufficio anche facendo 12-15 chilometri, se anche le aziende si organizzassero, senza dover fare la doccia, realizzando tratti ciclabili seri, in sicurezza.

Questa sarà la svolta, la vera rivoluzione».

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