«Racconto la morte per riscoprire la vita»

«Racconto la morte per riscoprire la vita»

Pippo Delbono è un ragazzone di 54 anni che ne dimostra venti di meno e che, non appena si mette a parlare, arringa il pubblico col fascino schietto e la vivissima ispirazione di un autentico maestro. Adesso al Piccolo Teatro Studio va in scena dall'8 al 20 ottobre con due spettacoli nuovi di zecca (il primo, «Orchidee», dall'8 al 17 e il secondo, «Racconti di giugno», dal 18 al 20 di questo mese). In più è in cartellone al Cinema Mexico una panoramica esaustiva dei suoi film più importanti, apertasi lo scorso 24 settembre quando è stata proiettata la sua ultima fatica cinematografica (quel «Sangue» premiato al Festival di Locarno che ha suscitato un mare di polemiche per la partecipazione al suo fianco, nella lunga sequenza dei funerali del brigatista Prospero Gallinari, di un altro br tutt'altro che pentito come Giovanni Senzani). È lui per primo a gettar acqua. Spiega che a lui interessava «mettere l'accento sulla vita che si spegne mentre la morte sta per annullare, col suo proditorio intervento, la vita di un essere umano».
La morte di Anna, l'amatissima moglie di Senzani, è narrata tutt'uno all'agonia e alla fine di Margherita Delbono, sua madre. Può spiegarcene la ragione?
«È molto semplice. Io inquadro la morte nel suo lento, inarrestabile disfarsi della vita, prendendo possesso di un corpo straziato dalla fine imminente. La morte, come destino definitivo dell'uomo, si incontra e si scontra, in «Sangue», con la morte di un habitat significativo come la città da me prescelta a significare il caos, la fine, la mancanza di prospettive vitali. Inquadro anche le ferite immedicabili di un luogo amato come L'Aquila che continua a morire, al di la' delle promesse di un'imminente ricostruzione».
Nel film, lei cerca le mani della madre per stringerle un'ultima volta a sé.
«L'ho fatto per non lasciarmi trafiggere dal dolore della scomparsa dell'essere umano più importante della mia vita. In quei giorni, solo la consapevolezza di dover badare a una presenza assillante, come la macchina da presa che ero obbligato a controllare, è stata la mia unica ancora di salvezza. E mi dispiace che qualcuno abbia gridato allo scandalo per l'accostamento all'uccisione di Roberto Peci, fratello dell'ex-brigatista, suggerendo l'ipotesi che abbia volutamente messo sullo stesso piano un assassinio con la scomparsa di due persone care».
Perché la morte le sta tanto a cuore in questo periodo della sua vita e del suo lavoro creativo?
«Perché rappresenta una fine contro la quale continuo a combattere».
In che modo agisce, se è lecito?
«Privilegiando la forza che ci tiene in vita».
Sergio Escobar, da anfitrione, prende con slancio la parola: «Pippo, in “Orchidee”, lo spettacolo che vedremo presto, ci mostrerà i grandi immortali personaggi della letteratura universale…».

«Quelli che non muoiono mai, perché inscindibili da noi e dal nostro immaginario», prosegue Delbono, «ed è per questo che in questo spettacolo io, oltre che regista, sono interprete, mimo e danzatore, dando vita ad Amleto e a Ofelia, la presenza più straziante e commovente del teatro di tutti i tempi».

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