Renzi si scorda Milano Ma snobbare la città a sinistra è una regola

Matteo Renzi non ha cambiato verso alla tradizionale ostilità della sinistra per Milano. La distribuzione geopolitica del potere nel primo governo del rottamatore è un tema incandescente. Nel giorno in cui sono stati scelti i sottosegretari è stato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia a dirsi «rammaricato» per il trattamento subito dalla sua città, che si è trovata estromessa dall'esecutivo alla vigilia di Expo. Nella compagine ministeriale l'unico lombardo del Pd è l'ex segretario regionale del partito Maurizio Martina, piazzato all'Agricoltura più che altro per consolare la minoranza interna. L'informata di sottosegretari se possibile ha peggiorato la situazione. Non solo per lo sfogo del delusissimo Emanuele Fiano, ma anche per l'ulteriore schiaffo a Pisapia, che si è trovato nella paradossale situazione di avere solo avversari milanesi al governo (in particolare il ministro Maurizio Lupi, che nel 2016 lavorerà per prendere il suo posto a Palazzo Marino). Ieri anche la ex ministro Barbara Pollastrini ha messo il dito nella piaga: «Un vero peccato - ha detto - nessuna presenza di sinistra e del Pd di Milano nella schiera dei sottosegretari».
Un vero peccato ma non una novità, quella che viene addebitata al nuovo padrone della sinistra italiana. Renzi viene da Firenze e dal vivaio Dc ma nella storia del Pci-Pds-Ds il potere ha sempre gravitato su altre rotte: Piemonte, Liguria e Sardegna sono state le vere culle dell'apparato politico-ideologico, mentre il potere economico era radicato in Emilia e in Toscana. Renzi non ha fatto altro che proseguire nel solco di questa tradizione, lo ha rilevato anche il braccio destro di Pisapia, Franco D'Alfonso che ha parlato del «tradizionale disinteresse» dei suoi predecessori «per il Nord e per Milano in particolare». Per l'entourage di Pisapia, Renzi ha lasciato che Milano «sia ancora una volta presidiata dal solo centrodestra». E la serie storica dei governi della Seconda repubblica conferma che è così. La novità del centrodestra al governo si presentò nel '94 con una nutrita pattuglia di ministri lombardi, almeno7- 8, al fianco del milanese Silvio Berlusconi. Romano Prodi nel '96 scelse 2-3 ministri più o meno lombardi, trend confermato dal governo ribaltonista di Massimo D'Alema e da quello di Giuliano Amato (Patrizia Toia e Umberto Veronesi). Il ritorno di Berlusconi portò la Lombardia a un nuovo boom (Letizia Moratti, Girolamo Sirchia, Giulio Tremonti, Lucio Stanca oltre a tutti i leghisti).

Prodi tornò a quota 2-3 mentre la terza era di Berlusconi a Palazzo Chigi segnò una esplosione di oltre 10 lombardi (Ferruccio Fazio, Mariastella Gelmini, Michela Vittoria Brambilla, Paolo Romani e i leghisti). Mario Monti ha mantenuto discreta la quota coi colleghi prof, poi Enrico Letta è subito sceso a tre ministri (Lupi, Enzo Moavero e Mario Mauro), due dei quali cassati da Renzi, che ha promosso Martina. Un po' poco.

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