Il retroscena Travaso di vendoliani

I consensi di Vendola e il «popolo» del centrosinistra - quello che non obbedisce agli ordini di scuderia. A tre giorni dal ballottaggio è questo il tesoretto elettorale a cui puntano Matteo Renzi e Pierluigi Bersani. Il tesoretto che fa vincere. E - oltre al governatore della Puglia - c'è un solo politico, oggi in Italia, in grado di condizionarli entrambi (e in parte lo si è visto anche dai risultati del primo turno). Più ancora degli stessi sfidanti. Quest'uomo è Giuliano Pisapia, che è vendoliano quanto basta, ma che ha sempre voluto marcare una certa autonomia. Che è andato ad ascoltare tutti e solo a pochi giorni dal primo turno ha dichiarato il suo voto. «Sì, probabilmente Giuliano potrebbe far spostare l'ago della bilancia» conviene l'assessore Franco D'Alfonso, l'ideologo della vittoria del 2011, prima di precisare: «Giuliano è un punto di riferimento, ma non vuole usare questa posizione per dividere ma per unire».
Renzi lo ha capito prima di tutti, e un mese fa esatto, quando è venuto al Dal Verme, lo ha riempito di lusinghe e di elogi, fino a indicare praticamente «Giuliano» come ministro della Giustizia ideale di un eventuale governo di sinistra. D'Alfonso prevede che «non si pronuncerà», e ricorda che ha già invitato tutti e cinque i concorrenti delle primarie a una sorta di «convention» unitaria il 16 dicembre. D'altra parte praticamente certo che se dovesse pronunciarsi lo farebbe per Bersani (come il consigliere Sel Luca Gibillini). Sembra altrettanto provato però che i mondi di Pisapia e Renzi sono comunicanti. Non solo la capogruppo in Comune degli «arancioni» Anna Scavuzzo è il volto milanese dei renziani. Non solo è renziano il capo di gabinetto del sindaco, Maurizio Baruffi.
Ma anche in giunta i «rottamatori» si stanno facendo largo. D'Alfonso stesso, socialista e indipendente di centrosinistra, al primo turno «per stima» ha votato per il collega Bruno Tabcci, ma ora si dice «tentato». «Le primarie non sono un concorso di bellezza - spiega - ma un processo politico fatto anche di conoscenza e di aggiustamenti. La linea iniziale di Renzi la sentivo meno vicina alle mie idee». Due i «pregiudizi»: quello sulla scarsa laicità del sindaco di Firenze (un giovane scout) e quello sul suo «montismo» che - dice D'Alfonso - «ora non c'è più». Ora - aggiunge - «devo dire che non ho ancora deciso, e vedremo». Ma ammette che «c'è l'aspetto innovativo, incarnato da Renzi, che mi attrae e mi spinge». E a rincarare questa propensione c'è un'altra valutazione: «Il pericoloso addensarsi dietro a Bersani - così le definisce l'assessore alle Attività produttive - di posizioni di orgoglio di partito». Queste novità stanno (più che) bilanciano la iniziale preferenza per il segretario Pd. Sulla capacità di fare coalizione li vede «più o meno pari» come nella capacità di governo: «Solo in Italia può essere considerato un ragazzino un 38enne che da un decennio amministra enti importanti».

E se arrivasse anche D'Alfonso, dunque, si aggiungerebbe agli endorsement più o meno espliciti dei colleghi Chiara Bisconti, Pierfrancesco Maran e Stefano Boeri. Mentre anche Lucia Castellano a Palazzo Marino viene considerata una vendoliana del primo turno tentata dal «devazionismo renziani».

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