«Un rischio quei romeni, devono restare in carcere»

C'è una circolare del procuratore della Repubblica, Edmondo Bruti Liberati, che invita i suo sostituti a ridurre l'uso del carcere allo stretto indispensabile. C'è un'altra circolare del presidente del tribunale, Livia Pomodoro, che suggerisce la stessa cosa ai giudici: a San Vittore c'è il tutto esaurito, cerchiamo di tenerne conto al momento delle sentenze. Tutto sacrosanto. Però, poi, ci sono le «esigenze di tutela della collettività», che chiede che chi è pericoloso venga messo in condizione di non nuocere almeno per un po'. Carcere, quindi. Anche se in prigione si sta stretti.
É un'udienza controcorrente, quella di ieri a palazzo di giustizia. In una gabbia, ci sono sette giovani rumeni. Tutti tra i venti e i trent'anni. La sera di mercoledì sono stati arrestati dai carabinieri davanti ad un bar di via Monte Prato Magno, a Precotto, accusati di avere scatenato una rissa furibonda. Non si tratta, oggettivamente, di un grande reato. Nessuno è stato ricoverato in ospedale. Un carabiniere si è preso un colpetto sul ginocchio, quattro giorni di prognosi. Insomma, roba che di solito si liquida con una denuncia a piede libero: anche se dietro alla rissa si intuisce una brutta storia, un regolamento di conti per via di una ragazza sposata e poi ripudiata. Ieri, quando i sette, dopo due notti in guardina, vengono portati in tribunale per l'udienza di convalida, sembra scontato che verranno rimessi in libertà.
Invece il giovane pm di turno, Luciana Greco, dopo che sono stati interrogati tutti e sette gli arrestati, prende la parola. I sette hanno ripetuto tutti la stessa storia: di essere in Italia da pochi giorni, di avere chiacchierato magari a voce un po' alta, ma di non essersi affatto picchiati. E i segni che hanno intesta? «Ce li hanno fatti i carabinieri, quando sono arrivati ci hanno picchiato con i bastoni». Il pm non ha dubbi: richiesta di custodia cautelare in carcere per tutti. «Sono in Italia da molto tempo. Non hanno un'attività lecita. Hanno mostrato grande aggressività. Due di loro hanno precedenti per porto d'armi e per furto». Aggiunge il pm: «So di fare una richiesta contraria ai recenti orientamenti e alla circolare del presidente del tribunale. Ma credo che soggetti così debbano essere contenuti. Credo che ci siano esigenze di tutela della collettività».
Sono esigenze, dice il pm, che non si possono soddisfare con misure blande come gli arresti domiciliari.

Gli avvocati si oppongono, spiegano che comunque anche se verranno condannati per rissa gli imputati avranno sicuramente la condizionale, quindi tenerli in carcere non ha senso. Ma il giudice Rachele Monfredi dà ragione al pubblico ministero. Con loro grande stupore, i sette vengono riportati in cella. Ci resteranno almeno fino al processo, fissato per il 2 maggio.

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