Il risiko spinge Mantovani verso il Pirellone

A dispetto di previsioni e illusioni, la sinistra in Lombardia è in affanno. Il consenso, sondaggi alla mano, resta inchiodato. E in questo clima arriva la rottura coi Radicali. Un altro brutto colpo. Non solo perché i pannelliani a Milano e dintorni hanno sempre ottenuto un discreto gruzzoletto di voti, che alla fine potrebbero anche mancare. Ma soprattutto perché, al di là dei numeri, il caso ha dimostrato la confusione in cui versa l'alleanza guidata da Ambrosoli (o che per meglio dire lo guida). Il candidato governatore ha chiuso la porta ai Radicali milanesi: per stare nella «coalizione» - questa in pratica la condizione che ha posto - dovete togliere dal nome la parola «amnistia». Come dire: dovete rinunciare a alla vostra priorità (e identità) politica. Condizione inaccettabile per chiunque. E infatti Marco Cappato, il numero uno dei Radicali milanesi, un minuto dopo ha deciso di candidarsi anche lui. Ambrosoli ha giustificato così la sua singolare richiesta: i temi che hanno carattere «di scopo» - come l'amnistia - «devono restare a margine, anche nelle diciture formali, dal perimetro politico-programmatico che si va definendo». Tradotto: non si deve parlare dell'emergenza carceri e giustizia, e voi non dovete avere nel nome niente che la richiami. I giornali non hanno fatto in tempo a registrare le reazioni negative, deluse o sbalordite di tanti a sinistra (dall'assessore comunale Franco D'Alfonso al consigliere comunale di Sel Mirko Mazzali) ed ecco che è arrivata la dichiarazione di un collega di D'Alfonso, Pierfrancesco Majorino: «È ora di affrontare seriamente e con azioni certe la situazione delle carceri milanesi e italiane - ha proclamato come se niente fosse - ponendo fine alle disumane condizioni di vita in cui si trovano migliaia di detenuti costretti a vivere in celle sovraffollate». Insomma per Ambrosoli i Radicali non devono parlare di carceri e amnistia in Regione, mentre il Pd può farlo a Palazzo Marino.

L'evidente corto circuito che si è prodotto con le parole del maldestro assessore ha confermato quel che tutti avevano capito: quello di Ambrosoli non era che un pretesto. E le danze non le conduce lui. Però quei voti potrebbero mancargli.

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