Cronaca locale

Ma la risposta non può essere solo «tecnica»

di Alberto Giannoni

Presidiare «i meccanismi di funzionamento della sicurezza» e aggiungere «il tema dei grandi eventi». Nel giorno di un orrore che diventa indicibile - una strage di giovani durante un concerto - il sindaco Beppe Sala, col suo proverbiale pragmatismo risponde a chi gli sottopone la questione dell'allerta terrorismo. Lo fa, da manager felicemente in politica, indicando sedi e congegni tecnici e rimettendosi con cautela a «enti e persone più esperte di me». Va bene ma non basta. Ciò che serve è una risposta che sia anche culturale e politica.

La dichiarazione di guerra del terrorismo richiede una reazione che non può limitarsi all'efficienza: non basta oliare la macchina amministrativa a cui affidiamo la sicurezza e l'ordine pubblico nelle nostre città. E purtroppo possono far poco i giusti sentimenti di cordoglio. Sala non lo fa ma occorre chiamare le cose col loro nome e guardarle in faccia per ciò che sono. Il terrorismo politico europeo non fu affrontato solo con misure di efficienza giudiziaria e poliziesca, lo sconfisse una reazione politica e culturale capace di prosciugare l'acqua in cui nuotavano, relativamente liberi e sicuri, gli squali della delirante lotta armata. Di fronte alla cupa minaccia del terrore jihadista, davanti a tagliagole e assassini-suicidi, bisogna individuare i fanatici, isolare i simpatizzanti, soffocare l'area grigia. E non solo: occorre aprire gli occhi di fronte all'antisemitismo, promuovere in tutte le sedi e in tutti i Paesi i diritti e le libertà delle donne, nonché difendere i cristiani perseguitati dagli islamisti.

Sono i nervi scoperti di questa nuova battaglia contro l'orrore.

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