La rivoluzione culturale della tavola

Così in città una nuova generazione di cinesi ha lanciato al top la cucina asiatica

«Il mio piatto preferito? Spaghetti freddi e caviale del Caspio» mi disse durante un'intervista il compianto genio della cucina Gualtiero Marchesi. Lui dell'Oriente - e soprattutto del Giappone - era un estimatore senza pari. «È la cucina del futuro», diceva raccontando il suggestivo aneddoto di un sashimi di calamaro servitogli a Tokyo su un cubo di ghiaccio: «Si muoveva ancora...». E allora sotto la Madonnina è una marcia inarrestabile quella di una cucina orientale che, soprattutto a cavallo di Expo, ha visto sorgere o decollare locali fascinosi e di alta qualità. La parola d'ordine è fusion, come si conviene nell'era della globalizzazione. Ma non solo. Nell'olimpo non mancano i ristoranti giapponesi doc, e i puristi non storceranno il naso se a reggere le fila è una nuova generazione di cinesi che da anni lavorano egregiamente in nome dell'alta cucina. Come la famiglia Liu, che mantiene con merito la stella Michelin nel gettonatissimo Iyo di via Piero della Francesca, e che propone anche un'interessantissima cucina cinese contemporanea al Gong di corso Concordia. La Cina di qualità oggi fa rima soprattutto con la moda dei dim sum, le tapas orientali a base soprattutto di ravioli di carne, di pesce o di verdura, al vapore o alla piastra, spesso impastati a vista del cliente e serviti in tutte le salse in eleganti cestini di bambù. Cambia anche la geografia.

Fino a qualche anno fa i ristoranti top di gamma dagli interni di ricercato design gravitavano soprattutto a ridosso del centro. Oggi il boom presenta imperdibili sorprese anche in periferia e addirittura fuoriporta. In questa pagina illustriamo alcune new entry, ma anche locali che, in questi ultimi tempi, hanno fatto da apripista al boom.

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