Quel romanzo criminale con un finale a sorpresa

Il commissariato di Quarto Oggiaro presidia adesso un quartiere che si è sbarazzato della fama di Bronx

Sull'ultimo baluardo territoriale della questura di Milano, il commissariato di Quarto Oggiaro, periferia Nord della città si potrebbe scrivere un vero e proprio romanzo criminale. Nel corso degli anni, infatti, qui l'illecito ha spopolato tanto che l'area era soprannominata «il Bronx». Poi piano piano, indagini su indagini, blitz dopo blitz e, soprattutto, dopo tanto sangue versato tra regolamenti di conti e sgarri, le famiglie mafiose - i Crisafulli, i Carvelli, fino ai Tatone sono progressivamente scomparse fino quasi a estinguersi (anche se è sempre meglio andarci cauti nel darli finiti...). Erano loro che, da fortini segreti e, al tempo stesso, noti a tutti, dominavano la città tra via Lopez, piazzetta Capuana, via De Predis, via Lessona, via Pascarella e via Trilussa, spacciando droga con la disinvoltura di chi distribuisce caramelle e dettando legge come vere e proprie filiali a pieno ritmo delle 'ndrine calabresi.

VIA SATTA

Consapevole di trovarsi a rappresentare la legge in un «posto di confine», Antonio D'Urso - 45 anni, vice questore aggiunto e dirigente del commissariato di via Satta - ha portato a vivere a Quarto la moglie Paola, in servizio alla Dia (Direzione investigativa antimafia) e i loro due figli adolescenti. Sì, li ha condotti qui per respirare a fondo l'aria del quartiere (che, solo sentendolo nominare, fino a non troppo tempo fa metteva paura) non come se si trattasse di un remake del film «Balla coi lupi», ma piuttosto per dare un esempio e ricondurre il più possibile tutto alla normalità.

In realtà, in un posto dove abitano quasi 80mila persone e vengono applicate circa 300 misure di prevenzione alternative al carcere, D'Urso è arrivato con il suo bagaglio umano e di poliziotto che ha lavorato a lungo sul territorio milanese. E un tipo del genere all'apparenza potrebbe sembrare non adeguato al famigerato Bronx di Milano. Prima di tornare a Milano, dove aveva già lavorato alle «volanti» e alla squadra mobile, D'Urso ha trascorso 4 anni a Legnano e lì ha saputo conquistarsi tutte le realtà del posto. Restano memorabili i tour nelle contrade nel mese di maggio («D'Urso uno di noi!», cantavano i contradaioli...), così come gli incontri nelle scuole per parlare di bullismo e il coinvolgimento della chiesa locale per il progetto anti-truffa agli anziani che una sera se lo videro comparire sull'altare dopo la messa per mettere in guardia loro, i nonnini, contro chi s'ingegna (e non poco) per raggirarli. Un'idea, quella della chiesa, che fece scuola.

Anche a Quarto Oggiaro D'Urso - dove dispone di 64 uomini - ha portato se stesso e il suo modo di fare. Bonario, pronto ad ascoltare, l'inverno scorso è andato di persona a chiedere all'Aler d'installare la caldaia a una vecchietta che si era recata in commissariato lamentandosi perché si scaldava ancora con il braciere. E ogni sei mesi, a villa Scheibler, si sottopone al fuoco incrociato di domande dei residenti e delle 20 associazioni e comitati per controllare quali siano i problemi da risolvere sul territorio, a che punto si è con quelli in fase di realizzazione, quindi cosa e perché è stato accantonato. Insomma, D'Urso con la gente ci parla, si relaziona. E a Quarto Oggiaro non è cosa da poco.

GRANDE CRIMINALITÀ?

«La grande criminalità, quella che ha reso famoso in negativo Quarto Oggiaro, si può dire praticamente morta - ammette D'Urso -. Quando fermiamo uno spacciatore sappiamo che è uno spacciatore e punto. Non ha dietro di se una famiglia mafiosa, non è solo una particella di un grande ingranaggio dominato da una famiglia. È un pusher che spaccia per strada. Adesso che riusciamo ad essere molto più presenti sul territorio di un tempo - spiega - possiamo aprirci alla gente e favorire anche la loro apertura verso di noi. Le famiglie mafiose, con il clima di terrore che avevano installato qui, non avrebbero mai permesso qualcosa del genere».

È vero: non sono lontani gli anni in cui l'arresto di qualche esponente delle cosche calabresi trapiantate a Milano suscitava nel quartiere tumulti e reazioni violente contro la polizia, vere e proprie insurrezioni; così come non ci vuole un film per ricordarci i tempi delle sparatorie, delle mafie e del racket diffuso, delle vendette. Solo nell'ottobre 2013, Antonino Benfante, detto Nino Palermo, uccise in tre giorni tre uomini: i fratelli Emanuele e Pasquale Tatone e Paolo Simone. Un regolamento di conti nell'ambito dello spaccio della droga.

LUDOPATIA

Adesso però Quarto Oggiaro per le altre periferie come Lorenteggio, San Siro, Corvetto sta diventando ormai un modello di trasformazione generando anche un po' di invidia. E la gente vuol far parte di questo cambiamento, si rimbocca le maniche per migliorare il quartiere. Negli ultimi tempi, ad esempio, sono stati chiusi ventidue locali. «Il controllo nasce soprattutto per combattere la ludopatia: c'era gente che per giocare con le macchinette si mangiava lo stipendio e quello di tutta la famiglia. Facciamo pattuglioni su pattuglioni, nelle area verdi che qui sono tante girano i poliziotti a cavallo in modo da controllare lo spaccio e salvare il quartiere dal degrado. Inoltre - continua D'Urso - ho coinvolto i parroci delle cinque parrocchie nella lotta alle truffe agli anziani e, infine, controlliamo il transito dei mezzi pubblici, gli autobus in particolare: mesi fa arrestammo un pusher che vendeva la droga scendendo da un bus e salendo su un altro».

«BULLISMO DEVASTANTE»

Il grande lavoro della polizia nel Bronx di Milano parte dalle scuole. «Il bullismo è davvero devastante» segnala D'Urso. L'anno scorso ad aprile il caso più clamoroso: in una terza dell'istituto superiore di videoregistrazione Dudovich di via Amoretti, la polizia è entrata in classe con i cani antidroga e ha trovato nella borsa di un diciannovenne sette palline di hashish. Il ragazzo, abituato a vessare i coetanei (motivo per il quale era già stato segnalato alla polizia) è crollato e si è messo a piangere come un bambino mentre veniva arrestato davanti ai compagni. Consapevole che mettere le manette a un ragazzo mentre i suoi compagni di classe lo guardano sia stato un gesto molto forte, D'Urso è stato chiaro: «Se facciamo vedere che il bullo di turno va in galera, otteniamo un risultato anche di esempio. Sì, l'ho fatto arrestare in classe davanti a tutti.

Ma i nostri agenti incontrano spesso i ragazzi nelle scuole per parlare di bullismo. In occasione di questi incontri, ho distribuito l'indirizzo mail del commissariato e dal Dudovich erano pervenute numerose segnalazioni per bullismo. Tutte anonime».

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