"Sì alle moschee se a norma: per pregare e per integrarsi"

Il prefetto fissa le regole: spazi adeguati, formazione per gli imam, sermoni in italiano e ingresso libero

"Sì alle moschee se a norma: per pregare e per integrarsi"

«Da quando avevo ventiquattro anni e come primo incarico, in qualità di consigliere di prefettura, chiesi di venire in Lombardia a Varese. Sono una donna normalissima, disposta ad ammettere di essersi sbagliata e sempre protesa verso il dialogo. Ma se sono convinta di fare la cosa giusta vado avanti per la mia strada, a prescindere dal fatto che possa creare incomprensioni».

Luciana Lamorgese, prefetto di Milano dal 13 febbraio scorso, prima donna a essere chiamata a rivestire questo incarico nella storia della città.

Con la sigla del protocollo ministeriale solo in provincia di Milano sono passati dai 76 iniziali agli 82 attuali i Comuni dell'hinterland che hanno accettato di dare accoglienza alla quota migranti giunti in Lombardia negli ultimi sei mesi (da febbraio ne sono sbarcati in Italia 95mila e quindi a fronteggiare le 10mila domande di cittadinanza, le richieste d'asilo, cresciute del 14,26 per cento e i quasi 130mila permessi di soggiorno concessi dalla questura di Milano). Senza contare il nuovo prefetto ha dovuto affrontare con le forze dell'ordine, Comune e Regione, ma soprattutto con i milanesi, sfide di ogni genere, come quella del terrorismo internazionale.

Cos'ha Milano di diverso da altre città dove si è trovata a lavorare?

«È molto dinamica ed esaltante, si respira un'aria internazionale. Premesso che ovunque mi sia trovata mi sono sempre adattata alle condizioni, ora mi sento milanese e privilegiata a trovarmi qui: il prefetto deve lavorare per la città e garantirne la sicurezza e assicurare la leale collaborazione alle altre istituzioni e io lo faccio con grande passione. Ho lasciato la mia famiglia a Roma per essere qui, sento la responsabilità di questo importantissimo incarico».

In sei mesi avete già convocato 18 comitati per l'ordine e la sicurezza. E allora perché c'è chi si lamenta dei 6mila immigrati presenti a Milano e chi accusa le istituzioni di non aver rispettato le promesse, cioè ogni mille abitanti tre migranti, con un rapporto pari allo 0,3 per cento tra chi abita nella città metropolitana e chi è ospitato?

«Sono dell'idea che il comitato vada convocato ogniqualvolta sia necessario. Se c'è l'esigenza il comitato si può svolgere anche due volte a settimana e non c'è bisogno di una data fissa. Per quel che riguarda i migranti, al mio arrivo ho lavorato immediatamente a uno dei problemi più importanti da affrontare per una loro distribuzione equa e sostenibile. Naturalmente facendo riferimento al piano Anci (Associazione nazionale comuni italiani). Ho incontrato i sindaci più volte, li ho ascoltati e alla fine li ho invitati a governare loro stessi questo processo e ad essere protagonisti col supporto della prefettura. Voi siete attori - ho detto loro - io vi sono a fianco. E i sindaci si sono fatti parte attiva. Lo scopo del protocollo è proprio questo: distribuire equamente i migranti su tutto il territorio in modo che non ci sia un peso eccessivo. Anche i numeri consentirebbero, laddove i Comuni dessero una disponibilità anche minima, che nessuno debba soffrire degli arrivi che, voglio ricordare, nelle ultime tre settimane si sono praticamente fermati, facendoci tornare alla normalità. E assicuro che anche i sindaci che politicamente potevano avere difficoltà a firmare il protocollo, sono quelli che poi mi hanno dato la loro disponibilità. E questo io l'apprezzo».

C'è chi si lamenta, in qualità di sindaco, di essere stato avvertito con scarso anticipo, dell'arrivo dei migranti mandati dalla prefettura nel proprio territorio.

«Può accadere, ma ci sono necessità contingenti: quando i migranti arrivano, il prefetto ha l'obbligo di sistemarli. Lo scopo del protocollo del resto è proprio quello di creare un numero di posti sufficienti in modo che ogni arrivo non venga vissuto con angoscia e i migranti vengano distribuiti in piena condivisione con i sindaci su tutto il territorio».

E cosa ribatte a chi punta il dito contro i 12mila arrivi in Lombardia negli ultimi sei mesi?

«Che in sei mesi 12mila arrivi, per 12 province lombarde, non rappresentano un numero insostenibile. Il numero va visto in questa ottica, senza strumentalizzarlo. Inoltre, grazie al grande lavoro del ministro dell'Interno Minniti, da un mese ci sono solo arrivi sporadici su tutto il territorio italiano. In Italia se ci fosse una distribuzione equa su tutti gli 8mila comuni non ci sarebbero problemi. Le criticità esistono perché i Comuni che accolgono sono meno di 3mila».

E a chi teme una connessione tra gli arrivi e il terrorismo internazionale?

«Non c'è connessione tra gli arrivi e il terrorismo, ma tra mancata integrazione e terrorismo sì. E proprio attraverso l'accoglienza dobbiamo far integrare queste persone favorendo la libertà di culto, purché nella legalità».

Anche quando si tratta di realtà come quella della moschea di via Cavalcanti, completamente abusive e pericolose?

«Servono spazi adeguati per permettere anche ai fedeli di religione islamica di professare il loro culto, non si può dire semplicemente basta, lì non potete stare bisogna dare alternative. Per loro il centro di preghiera è anche punto d'incontro e noi dobbiamo operare sulle seconde, terze generazioni per farle sentire integrate nella nostra società.

Credo molto nel tavolo regionale per l'Islam che abbiamo riunito la prima volta lo scorso mese di giugno a Milano con tutte le associazioni rappresentative sul territorio, per dare applicazione alle proposte del tavolo nazionale, come più sermoni in italiano, la formazione dell'Imam, la possibilità di entrare liberamente nelle moschee anche per chi è di altre religioni».

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