Cronaca locale

Alla Scala «Elena egizia» un'opera da boutique

Di Strauss, in Italia si è vista solo una volta Il debutto milanese affidato a Welser-Möst

Piera Anna Franini

È dedicata alla donna più bella del mondo l'opera che dal 6 novembre va in scena al Teatro alla Scala: Elena egizia, musica di Strauss e libretto di Hofmannsthal. Un titolo da boutique, in Italia lo si è visto infatti una sola volta, a Cagliari, nonostante i 91 anni d'esistenza. Il debutto scaligero è affidato alla direzione musicale di Franz Welser-Möst, mentre Sven-Eric Bechtolf, conosciuto a Milano in Hänsel und Gretel e Ernani, ne cura la regia. Nel cast, Ricarda Merbeth, l'anno scorso applaudita Elektra, Andreas Schager, Eva Mei e Thomas Hampson. Gli artisti spiegano che una delle ragioni per cui Elena in Egitto non è propriamente un titolo pop è che i due ruoli protagonisti sono quasi impossibili. È difficile - dicono - trovare in un sol colpo sia Menelao sia Elena all'altezza del ruolo/tessitura. Vedremo se il colpo riesce alla Scala che in questi giorni si gode l'Egitto di un Giulio Cesare (di Haendel) da quasi tutto esaurito. Una volta tanto, pubblico e critica van d'accordo.

Nell'opera di Strauss-Hofmannsthal succede che Menelao, in viaggio per Sparta, sia seriamente intenzionato a uccidere la moglie Elena. Interviene però la maga egiziana Etra che mobilita spettri, elfi, pozioni magiche. E l'astuzia femminile per cui convince Menelao, comunque sognante per effetto di un filo, che la vera Elena ha trascorso dieci anni in Egitto. E chi era colei che fuggì con Paride? Era il fantasma di Elena, risponde Etra. Si quietano i bollenti spiriti del marito tradito. L'inganno funziona fino a quando finisce l'effetto pasticca. Poi l'orgoglio maschio di Menelao si riaccende, l'uomo impugna la spada, e sta per compiere l'uxoricidio quando prende il sopravvento l'attrazione per la moglie infedele. E i due si riconciliano.

È dunque un groviglio di temi. Si parla di amor coniugale, di sogni e allucinazioni, di miti e ipocrisie borghesi, di bellezza antica e lacerazioni novecentesche. Perché come tutte le opere Strauss-Hofmannsthal del Dopoguerra - ricorda il direttore Welser-Möst - si parla della fine dell'Europa, in questo caso incarnata da Menelao. Si allude alla Grecia, mentre sono chiaramente raffigurati gli anni Venti, ruggenti più che mai. Vedi i costumi in stile Déco, preziosi fra perle, piume e pizzi. Giganteggia una radio déco e l'enorme cavo che accoglie i personaggi a mo' di grotta.

Bechtolf ha ammesso che alla prima riunione si era presentato senza idee. Non aveva una chiave di lettura. «Così pensai di riferirmi al titolo», dice. Ecco Elena, la più bella del globo. D'una bellezza che è espressione di interiorità, rivelazione di perfezione e armonia. Ma quando la bellezza interiore si offusca, si sgretola pure quella esteriore di Elena e dell'innamoratissimo Menelao. La chiave dell'opera è questa: il percorso di ritrovamento della pienezza.

Un percorso a due.

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