Coronavirus

Scampato ai nazisti e ai sovietici, stavolta non ce l'ha fatta

Scampato ai nazisti e ai sovietici, stavolta non ce l'ha fatta

Adesso starà finalmente pedalando Gino Mazzini (nella foto), morto a cent'anni di Coronavirus. Sarà finalmente tornato in sella alla sua bicicletta. Diretto senza fermate lassù, dove vanno quelli come lui. Buoni, onesti, timorati di Dio, come si diceva un tempo. Gino era scampato prima ai lager nazisti e poi alla prigionia dei «liberatori» sovietici. E non aveva visto una gran differenza: «Come si stava? Meglio non direi» ricordava. Delle Ss, invece, ricordava le impiccagioni. Da prigioniero, aveva passato in Germania quasi due anni. A Torun - dove scrisse una lettera ai genitori - poi a Brumberg, era infine arrivato a Danzica e nel lungo viaggio di ritorno a Varsavia e poi a Lodz e infine il rimpatrio: a Pescantina, poi da lì a Brescia e con la corriera a Cremona.

Il resto della sua vita lo aveva trascorso nella sua Bassa, fra la campagna, il caseificio, la chiesa. La vita semplice di quella generazione che aveva ricostruito l'Italia, laboriosa e solida e che ora sta drammaticamente scomparendo, portata via in silenzio dall'epidemia.

«Un uomo buono», così lo descrivevano nel suo paese, dove lo avevano sempre visto girare in bicicletta: prima andare nei campi, poi a lavorare e infine a messa. Tutte le domeniche. O quasi. Aveva saltato la funzione, quel giorno in cui il Giornale era andato a trovarlo alla Fondazione Sospiro, ai primi di novembre, alla vigilia del suo centesimo compleanno: «Oggi non sono andato in chiesa perché aspettavo visite», spiegò sorridendo nel suo bel dialetto cremonese. Era, Gino, il figlio di un mondo contadino, in cui il socialismo umanitario conviveva senza problemi con la fede. Una tradizione radicatissima nelle campagne lombarde. Era nato a Pieve San Giacomo, in una famiglia con otto fra sorelle e fratelli. E aveva sempre vissuto alle porte di Cremona, dal 1948 con la moglie Elvira, poi da solo quando Elvira purtroppo se n'è andata. Due anni fa, quando alle soglie dei 98 anni ha accettato l'idea di un aiuto alla Fondazione Sospiro, grande realtà assistenziali della Lombardia, in cui si apprestavano a festeggiarlo, insieme alle autorità e alle associazioni d'arma. «Non potrò mettermi sull'attenti» si crucciava Gino.

«Me lo immagino che da lassù sorride - dice Matteo, da Sospiro - imbarazzato da tanta attenzione».

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