Un secolo e mezzo di vita tra bombe, rivolte e star E nel '67 partì pure il Giro

Mengoni la costruì ma morì prima del varo Gli alleati la distrussero. Attori e re sfilarono

Profumo di grida. Decibel di baci. Nel salotto di Milano si è seduto il bene e il male di ogni cosa. E continua imperterrito ad accomodarsi, come se niente fosse. Come se non ci fosse storia. La prima a prender posto fu la donna con la falce. E Giuseppe Mengoni - timido bolognese che vinse l'appalto per costruire la Galleria dopo due bandi conclusi da un sovraffollamento di concorrenti e nessun vincitore - cadde dall'impalcatura prima dell'inaugurazione. E lì rimase. Senza più vita. Lo archiviarono come un incidente. Uno di quelli che la malasorte confeziona su misura, ma nessuno ha escluso che si trattasse di un suicidio. Rimase un giallo. E i secoli hanno contribuito a dimenticare più che a chiarire.

Vagiti di morte. Quei foschi presagi furono smentiti dal tempo. Ma il salotto continuò ad accogliere senza distinzioni l'aristocrazia e la plebe. I volti noti e gli sconosciuti. Quelli che manifestavano in difesa di Garibaldi, arrestato a Sinalunga. E perfino le armi. In quel maggio 1898 in cui Bava Beccaris, uno che non andava per il sottile, sparò sulla folla. La «protesta dello stomaco», altrimenti ricordata come i moti di Milano, si concluse con più di 80 morti e 450 feriti che valsero al generale una medaglia d'oro al valor militare. Aveva represso la rivolta di un popolo che aveva alzato la voce nel cuore di Milano. Il generale si sentì lusingato, ma fu una delle pagine più buie di un re, Umberto I, figlio e successore di quel Vittorio Emanuele II che la Galleria l'aveva inaugurata 22 anni prima. E dai milanesi gli era stata dedicata.

Quelle cannonate non tolsero mai fiato e parole. Come per nemesi dopo la ribellione soffocata, la Galleria rimase per sempre lo spazio della chiacchiera popolare. Capannelli di sconosciuti parlavano dei problemi dello Stato e di hashish legalizzato. Si urlava che il Milan. Che l'Inter. Che Fanfani e Rumor. Che i reggiseni delle femministe. Che il sindaco aveva messo una rete per non far entrare i piccioni. E gli strilloni dei giornali del pomeriggio gridavano ai passanti la notizia più fresca. Valeva 150 lire e non importa se non sempre fosse vera. Internet ante litteram era quel passaparola urlato a gran voce in mezzo a tutti. Lo studente di corsa. Il turista armato di macchina fotografica. Il piazzista di souvenir. Le dame sedute al caffè. Gli innamorati stretti stretti. I visitatori che andavano a calcare il tallone sulle palle del toro. Un giro su se stessi, guardando l'Asia. Lassù. Lunetta opposta di un altro cielo. Dove una donna riceve i doni da un mandarino cinese. E, sotto i portici, i ciechi vociavano forte per piazzare il tartufo a quelli che passavano con la mani calcate sul naso. Ma loro non li vedevano.

Caddero le bombe del '43. Ferita al cuore. Sventrarono il salotto che fu anche di Sinatra e della Callas. Dei principi di Monaco. E nel '67 - ma stavolta del Novecento - fu perfino dei ciclisti del Giro. Erano i cent'anni. E si partì da lì. Gimondi e Adorni. Anquetil e Balmamion. Merckx. Al via su un tappeto rosso che nel tempo avrebbe ospitato anche le modelle. La Galleria era diventata una passerella. Non sempre e solo alla moda. Più spesso di. Moda.

Sfilarono perfino Borrelli, Colombo e Di Pietro. Con lo scalpo di una classe politica demonizzata più di tanti ladri stessi, a tutt'oggi indefessi nel loro disonorevole lavoro. Anche questo è salotto. Teste coronate e delinquenti.

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