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La sentenza

Discutevano spesso, l’imam di Segrate e quel giovane marocchino. «Aveva delle posizioni molto particolari, ed era evidente che mi considerava troppo morbido, non sufficientemente radicale. Ma non avrei mai pensato che arrivasse a tanto». Invece, la sera del 18 aprile di sei anni fa, Abu Shwaima (nella foto), il leader spirituale di buona parte della comunità islamica milanese, venne aggredito dal fanatico che voleva punirlo con la morte per non aver predicato la jihad, la guerra santa. Ieri, la Corte d’appello di Milano conferma la condanna a otto anni di carcere per Mohammed Zarrouka, l’aggressore dell’imam. E si avvia così a conclusione la prima vicenda giudiziaria sugli scontri interni al mondo islamico a Milano: un mondo variegato e articolato, dove le contrapposizioni a volte sono aspre. Anche se raramente vengono alla luce con tanta brutalità.
L’aggressione avvenne nei locali della moschea poco dopo il Salat ul maghrib, la preghiera del tramonto. Il giovane colpì l’imam ripetutamente, con un lungo coltello: prima dietro il collo, poi all’addome e alle braccia. Abu Shwaima porta ancora suo collo le profonde e scure cicatrici lasciate dal coltello: «Credo di non essere morto solo perché mi ha preso sul muscolo». Sul momento, i portavoce della mosche avevano considerato l’aggressione all’imam il gesto di uno squilibrato, di un fanatico isolato. Ma ora Abu Shwaima ha qualche dubbio: «Dopo l’aggressione quel giovane è riuscito a fuggire ed è rimasto a lungo introvabile. Questo vuol dire che è probabile che qualcuno l’abbia aiutato, prima o dopo l’aggressione ai miei danni». Ma l’inchiesta non ha chiarito se Zarrouka sia stato un precursore di Mohamed Game, l’attentatore della Perrucchetti, come lui guidato solo dal suo fanatismo; o se qualcuno abbia armato la sua mano per mettere a tacere l’imam.
L’odio dell’estremista si era scatenato contro Abu Shwaima nonostante che l’immagine pubblica dell’imam non fosse esattamente quella di un seguace tiepido e pacato dell’Islam. Abu Shwaima (il cui vero nome è Ali ’àbd el-Latìf) è stato protagonista in passato, anche grazie alle sue frequenti apparizioni televisive, di polemiche assai vivaci. La più nota è quella con Daniela Santanché, alla quale nel corso di un dibattito rivolse parole pesanti: «Lei semina l’odio, è un’infedele», aveva detto alla parlamentare, colpevole di avere sostenuto che l’obbligo del velo non è previsto dal Corano. L’attacco di Abu Shwaima alla Santanchè era suonato quasi come una fatwa, una condanna pubblica, tanto che alla parlamentare era stata assegnata una scorta: l’imam aveva poi precisato di non avere voluto lanciare alcuna condanna ma semplicemente polemizzare con l’esponente politica.

Nel 2006 Abu Shwaima è finito sui giornali per la sua profezia «Entro dieci anni l’Islam conquisterà i cuori degli italiani», e l’anno successivo per la denuncia per bigamia annunciata contro di lui dall’ex eurodeputata di Rifondazione comunista Dacia Valent, secondo la quale l’imam convivrebbe more uxorio sia con un’italiana che con una giordana.

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