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Sgominata la banda che rubava le auto

Ai ladri 2mila euro a furto, le macchine erano rivendute a pezzi: 7 arresti

La risposta è più semplice della domanda. Le auto rubate non si trovano più perché si volatilizzano. Cercarle o sperare di ritrovarle è pura chimera. Con buona pace dei derubati, la dinamica l'hanno spiegata fin troppo chiaramente i carabinieri che hanno concluso un'articolata operazione, partita in giugno dalla compagnia di Corsico che aveva sorpreso due ricettatori in un capannone di Trezzano mentre smontavano una macchina appena sottratta alla strada e al suo proprietario.

Da allora le indagini sono proseguite e si sono trasformate in arresto per sette persone - cinque italiani e due marocchini tra i 23 e i 60 anni - che costituivano un'azienda sincronizzatissima in cui ognuno aveva precise mansioni. Lupin, come era stato soprannominato un 32enne particolarmente abile nel furto, lavorava con suo padre e due complici. Armati di centraline passpartout per tutti i tipi di veicoli, i tre impiegavano un quarto d'ora per forzare la serratura, sostituire l'impianto di accensione e andarsene comodamente seduti nell'abitacolo. Stipendio, duemila euro per ogni macchina sparita. Nel mirino le Volkswagen. Orario di «lavoro» dalle 23 alle 5 del mattino sette giorni su sette. Luogo di «lavoro», la porzio est dal Casoretto a corso Lodi. Una volta in moto, le auto finivano in un parcheggio protetto dove restavano per un paio di giorni. Il tempo necessario per assicurarsi che il rilevatore gps non fosse più attivo. Neutralizzato il satellitare, la vettura poteva raggiungere l'officina dove veniva smontata pezzo per pezzo, diventando totalmente anonima.

Padre e figlio abitavano in via Salomone, nelle case recentemente visitate da Papa Francesco ed erano abituali frequentatori del campo nomadi di via Bonfadini dove sono state ritrovate montagne di auto smontate. Il cervello della banda era però un pregiudicato di 46 anni titolare di un'officina di Trezzano dove la scorsa estate sono stati ammanettati due stranieri che stavano smontando una vettura rubata. Da lì i vari pezzi venivano venduti a tariffe altissime a meccanici, elettrauto e carrozzieri compiacenti che si rivalevano sui rispettivi clienti. Ogni accessorio veniva poi stoccato in appositi magazzini da altri componenti della banda in attesa dello smercio.

Il meccanismo funzionava come un orologio.

Fino a qualche giorno fa, quando le indagini hanno interrotto il traffico sostenuto che ha coinvolto sette province tra Milano, Varese, Como, Monza, Pavia, Ancona e Perugia. Per tutti i responsabili di questa «azienda del crimine» l'accusa a vario titolo è di furto aggravato, ricettazione e riciclaggio in concorso.

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