Nellallestimento più celebre, più anomalo e innovativo del «Sogno di una notte di mezza estate» che sia andato in scena a Milano negli ultimi decenni, quello diretto nel 1981 da un ancora sconosciuto Gabriele Salvatores presso il teatro dellElfo, lui cera. «Sì, ma solo nelle repliche che si tennero durante lestate negli Orti di Leonardo, il giardino allinterno del complesso delle Stelline», precisa Gioele Dix. «Ero stato scelto per interpretare il ruolo di Demetrio in sostituzione di Giuseppe Cederna».
Nel cast, oltre a lui, cerano molti tra i futuri protagonisti del teatro e del cinema italiani degli anni Ottanta e Novanta: Claudio Bisio, Luca Barbareschi, Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Renato Sarti. Oggi Gioele Dix nome darte di David Ottolenghi, milanese classe 1956 è un attore reso celebre dalla televisione che insiste nel fare teatro, spesso e volentieri nel ruolo di regista. Come nel caso del «Sogno di una notte di mezza estate» che sarà in cartellone al Nuovo dal 20 marzo al primo di aprile. Una versione «comica, vitale, leggera e gioiosa, come ci si immagina che fosse ai tempi di Shakespeare, e che già la versione libera e scanzonata dellElfo aveva in parte prefigurato».
Dopo lesperienza con Salvatores comè proseguito il suo percorso di attore?
«Già prima di collaborare con lElfo avevo una mia compagnia: si chiamava Il Teatro degli Eguali, mettevamo in scena soprattutto classici della commedia dellarte e con noi cera Gaetano Callegaro, che oggi codirige il Litta assieme ad Antonio Syxty. Dopo il «Sogno» ho lavorato con Franco Parenti. Con lui, al Salone Pierlombardo, ho messo in scena spettacoli di alta comicità come «Il malato immaginario» e il «Tartufo» di Molière. In quegli stessi anni frequentavo il Derby, e in seguito lo Zelig. Poi, alla fine degli anni Ottanta, è arrivata la televisione».
La versione del «Sogno di una notte di mezza estate» di Salvatores, allincrocio tra musical, cabaret e dramma generazionale assomiglia a quella che vedremo al Teatro Nuovo?
«Solo per alcuni aspetti. Certo, anche nello spettacolo che ho ideato i protagonisti sono tutti giovani di belle speranze, e la componente musicale, affidata a Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, è molto rilevante. Ma la vera novità di questo allestimento consiste nel suo essere esplicitamente comico senza diventare cabarettistico. Era così anche ai tempi di Shakespeare, dobbiamo riconoscerlo: molte scene del testo sono puro divertimento. Ma per rendere questo effetto di vitalità e ilarità ho dovuto coinvolgere dei giovani comici. Troppo spesso gli attori tradizionali, quando cercano di risultare divertenti, vanno sopra le righe, diventano innaturali».
Il Sogno che andrà in scena al Nuovo è molto differente da quello scritto a suo tempo da Shakespeare?
«Insieme con Nicola Fano, che ha collaborato alla traduzione e alladattamento del testo, ho scelto di rimanere fedele allo spirito dellopera apportando solo qualche modifica alla drammaturgia e creando unambientazione più vicina alloggi. La struttura narrativa è stata rielaborata in qualche punto e sono state sfrondate le parti più verbose, in modo tale da rendere più essenziale e da conferire più ritmo alla rappresentazione. Per quanto riguarda lambientazione, ho pensato di situare il racconto in un locale di tendenza nella periferia post industriale di una grande città».
Che lingua parlano i protagonisti di questo «Sogno» in chiave comica e metropolitana?
«Un italiano contemporaneo: fluido e un po ruspante, un po selvatico, ma lontano dalla sciatteria che caratterizza lo slang della quotidianità».
Sbaglio o tutti gli attori che recitano in questo spettacolo sono passati da Zelig?
«Non tutti, ma la maggior parte sì. Zelig scommette sui giovani e li fa crescere. I comici che si esibiscono lì passano attraverso lunghe, dettagliate selezioni.
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