Si scusa ma non troppo e lo condannano a 12 anni

Il salvadoregno, autore di altre due violenze sessuali Scrive una lettera alle sue vittime: per colpevolizzarle

Si scusa ma non troppo e lo condannano a 12 anni

Luca Fazzo

Ha cercato, come purtroppo accade spesso, di cavarsela dando la colpa alla sua vittima: dicendo che la turista canadese salita sul suo (finto) taxi alle cinque del mattino, con il suo atteggiamento aveva lasciato capire di essere d'accordo. Ma il racconto della donna, e gli accertamenti compiuti subito dopo il crimine al centro anti violenza della clinica Mangiagalli, raccontano e dimostrano un'altra storia: un' aggressione brutale, subìta da una vittima che non aveva possibilità di difendersi. Per questo Josè Balmore Iraheta Argueta, 28 anni, uno degli esponenti più noti della gang salvadoregna degli MS18, ieri viene condannato per stupro.

E non era la sua prima volta. Dall'aggressione alla turista, l'esame del Dna ha portato gli investigatori fino a uno stupro di otto anni fa rimasto allora senza colpevole, l'aggressione a una infermiera sul treno per Vignate. Anche quella volta, il violentatore era Iraheta. La condanna complessiva che il giudice preliminare Natalia Imarisio infligge ieri al salvadoregno è pesante: dodici anni di carcere. Sarebbero stati diciotto se l'uomo non avesse scelto il rito abbreviato per limitare i danni.

Ieri Josè appare in aula, davanti al giudice Imarisio, per assistere alla requisitoria del pm Gianluca Prisco. È smilzo, vagamente torvo. In aula non ci sono le sue vittime, solo i loro avvocati. L'uomo chiede la parola per una breve dichiarazione, ripercorre le tesi difensive che ha esposto nelle lettere inviate a entrambe: che non sono affatto lettere di scuse, perché in nessuna delle due il pandillero ammette le sue colpe. All'infermiera dice soltanto di avere cercato di rubare il cellulare, accampando l'alibi della povertà e della giovinezza: ma si guarda bene dallo spiegare come il furto si sia trasformato in stupro, provato scientificamente dalla presenza del suo liquido seminale sulla donna. E alla turista dice addirittura di essere convinto che lei non vedesse l'ora di fare l'amore con lui.

Nel capo di imputazione c'è una ricostruzione che non lascia spazio ad equivoci di questo genere: dopo essersi presentato alla ragazza come tassista e essersi offerto di portala a casa, Iraheta prende un'altra strada, si dirige in un luogo appartato, qui prende la nordamericana per i capelli e le fa picchiare la testa per tramortirla e intimidirla. Lei riesce a fuggire, lui la raggiunge e la trascina in un cespuglio dove le infila due dita in gola per impedirle di gridare. Per un attimo sembra calmarsi, si ferma, si scusa. Ma poi si scatena di nuovo, la trascina in un parcheggio, la picchia e la stupra ripetutamente.

Altrettanto brutale la scena dello stupro del 2010: Iraheta è sul treno per Vignate, la giovane infermiera ha la sfortuna di trovarsi da sola sul vagone con lui.

Si accorge che la sta fissando, si alza per cambiare vagone ma lui le sbarra la strada e la scaraventa a terra puntandole alla gola un coltello da venti centimetri. Le abbassa gli slip e la violenta. Poi, «approfittando del suo stato di terrore» si fa dare anche il suo Iphone 4 e se ne va.

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