Sul voto gli alleati isolano il Pd: il 2021 è tardi

La Grande Milano come Parigi o Londra: un sindaco metropolitano e tanti piccoli municipi. È questo il futuro della città metropolitana che è nata domenica con l'elezione del Consiglio? A detta di tutti sì, perché solo smembrando il capoluogo fra le attuali nove zone si potrebbe ottenere l'elezione diretta del super-sindaco, obiettivo che tutti sostengono di voler perseguire. A parole.

Sui tempi di questo percorso, però, centrodestra e centrosinistra divergono. Forza Italia ha sempre chiesto di accelerare il più possibile questo percorso di ristrutturazione istituzionale e di democrazia, per fare a tutti i cittadini della ex provincia la possibilità di scegliere - subito - il sindaco metropolitano. Ed evitare il paradosso di un sindaco che governa su un milione e mezzo di persone che non lo hanno eletto, cosa che accadrebbe, nei piani del Pd, fino al 2021, quando (alla fine del prossimo mandato) Giuliano Pisapia e compagni hanno intenzione di far votare tutti. «La Grande Milano - dice Bruno Dapei (Fi) - ha bisogno di una cabina di regia forte e autorevole. Dire che si è per la democrazia e le elezioni dirette e poi avere in testa il 2021 sarebbe da ipocriti». La novità è che anche la lista «La città dei Comuni» non ha alcuna intenzione di aspettare tanto. Almeno secondo il radicale Marco Cappato, uno dei due eletti: «Il decentramento era nel programma di Pisapia e 10 anni per realizzarlo sono davvero troppi. L'elezione diretta che tutti a parole vogliono implica una battaglia da fare in Consiglio, subito. Nel 2016 - chiarisce - si può e si deve votare per il sindaco metropolitano. Non solo: lo si può fare con un sistema elettorale che valorizzi i collegi, eleggendo direttamente anche i consiglieri, un po' come accadeva con la vecchia legge provinciale». «Pisapia si è lamentato perché servono risorse competenze - la sferzata del consigliere comunale e metropolitano Cappato - e allora serve anche un controllo, non si può rinviare di otto anni la democrazia». Cappato e l'altro leader della lista civica, il socialista Roberto Biscardini, sono sicuramente fra i vincitori della strana elezione di secondo grado di domenica, anche se confermano che «non c'erano le condizioni di agibilità democratica». Hanno raggiunto circa l'8%, hanno ottenuto 5 voti a Palazzo Marino e la loro lista schierava 3 sindaci fra i candidati e 10 fra i sottoscrittori (oltre a 50 consiglieri). Che i Radicali non vogliano fare le belle statuine lo si è capito subito, quando hanno rivelato che il Pd ha sbagliato a fare i conti dei seggi («Altro che ricorso!»).

Ora è chiaro che vogliono far ballare gli alleati, anzi avvertono che la loro lista è «davvero trasversale», e auspicano che la dinamica del Consiglio «non scimmiotti il confronto politico fra gli schieramenti». «Mettiamo al centro le cose da fare - sollecita Cappato». E mentre lo fa si capisce che la maggioranza di centrosinistra è già scesa a 14 seggi (su 24): certa ma non certo larga. La partita è tutta da giocare.

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