Scena muta, o peggio. La Regione insiste nell'incalzare i Comuni, eppure molti sindaci continuano a non rispondere. «A fare finta di nulla», come ha detto l'assessore al Territorio, Pietro Foroni, che pochi giorni fa ha firmato una nuova lettera indirizzata alle amministrazioni locali, mettendole in mora di fronte al proliferare di moschee abusive, e avvisandole su quali sono le possibili conseguenze - «anche penali» della loro inerzia.
L'oggetto è sempre quello: il culto in immobili non aventi una idonea destinazione urbanistica. Detto in altri termini, la questione è la preghiera in spazi abusivi. La legge regionale prevede, per le moschee, una destinazione urbanistica coerente con l'attività di preghiera. Inoltre, dal 2015 stabilisce le condizioni urbanistiche per l'apertura di nuovi luoghi di culto (strade, parcheggi, opere di urbanizzazione) e con una circolare del 2017 si è chiarito che regole analoghe valgano anche per i «centri culturali». Da tempo la Regione prova a disegnare una mappa di questi luoghi, e da tempo chiede ai Comuni di controllare, ed eventualmente sanzionare. È la terza comunicazione che parte nel giro di un anno e mezzo dalla Regione. E il numero delle risposte continua a essere insoddisfacente. Per limitarsi alle città capoluogo hanno risposto Bergamo, Cremona, Lodi, Mantova, Pavia e Sondrio. Non hanno risposto Brescia, Varese, Como e Lecco. Va precisato che in capo ai Comuni non c'è un obbligo giuridico di rispondere alla Regione, ma un dovere di «leale collaborazione» certamente sì. E questo l'assessore lo sottolinea nella sua lettera. Particolare ovviamente il caso di Milano, che ha riscontrato una sola volta l'iniziativa regionale, e con modalità singolari, o paradossali: dichiarando di non avere niente da dichiarare. Inutile dire che proprio a Milano - ma anche a Brescia - c'è l'epicentro del problema. Nel capoluogo non si contano più i centri culturali adibiti a moschea, spesso in precarissime condizioni di sicurezza, un pericolo anche per i molti frequentatori, soprattutto il venerdì. Proprio a Milano è sorto il caso che ha ulteriormente aggravato la situazione, quello di via Cavalcanti. Una sentenza della Cassazione ha rigettato il ricorso dei responsabili del centro islamico, confermato che un mutamento della destinazione d'uso dell'immobile, senza permesso, è un illecito. Una «fattispecie penale» - sottolinea Foroni nella sua lettera, mettendo in guardia tutti i sindaci - anche Milano - sul fatto che una omessa verifica sugli abusi edilizi e la omessa applicazione delle sanzioni e delle procedure di ripristino, può configurare una loro responsabilità anche penale.
La stessa sentenza, poi, dichiara inammissibile e «manifestamente infondata» la questione di costituzionalità proposta contro la legge lombarda. Da tempo molti, dal governo - allora Renzi - in giù, provano a smontare proprio la legge del 2015. La Corte costituzionale, però, ha mantenuto sostanzialmente inalterato l'impianto della legge, rilevando una difformità costituzionale solo in qualche aspetto marginale del testo.
E la legge lombarda, ora, ha retto anche a questo ulteriore esame «preliminare» di costituzionalità: la Cassazione ha escluso che ci siano profili di discriminazione, stabilendo che «la limitazione della libertà fondamentale di esercizio del proprio culto» è fondata sulla «esigenza» del Comune di conoscere i «mutamenti di destinazione d'uso degli immobili», che «possono comportare un aggravio del carico urbanistico» non di scarso rilievo», e con risvolti di ordine pubblico e di «pubblica sicurezza».
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