di Carlo Maria Lomartire
«Primarie sì, purché siano fatte per confermare e rafforzare la candidatura di Ambrosoli». Così l'ineffabile Tabacci - che da parte sua parteciperà alle primarie nazionali del centrosinistra - ammette che si svolgano quelle per il candidato presidente della Regione Lombardia, Umberto Ambrosoli, designato e imposto alla sinistra dal sindaco Pisapia. Qualcuno, però, spieghi a Tabacci, assessore al Bilancio del Comune di Milano, che le elezioni fatte semplicemente «per confermare e rafforzare» una candidatura, assomigliano tanto alle votazioni che si svolgono in certi regimi autocratici vigenti in alcune repubbliche ex sovietiche. Insomma, per designare il candidato di sinistra al Pirellone, Tabacci vuole votazioni in stile bielorusso o kazako. Una pretesa poco lusinghiera anche per lo stesso Ambrosoli, il quale, per la verità, le primarie non vuole neppure farle: perché non c'è tempo per prepararsi adeguatamente, dice, ma in realtà perché per l'avvocato figlio dell'eroe borghese si tratta di un tipo di competizione che non è nelle corde di una personalità come la sua, mite, garbata, incapace di aggressività polemica, poco disposta all'impegno agonistico. Anzi, proprio tenendo conto di questo tratto dolce della sua personalità, la bizzarra idea di «primarie non competitive» alla bielorussa, partorita dalla fervida mente politica di Tabacci, oltre a suonare quasi come un ossimoro - qualsiasi votazione con più candidati deve essere inevitabilmente competitiva per avere un senso - appare come un modo goffamente paternalistico di rassicurare il «predestinato»: tranquillo, accetta le primarie, perché le facciamo solo per farti vincere.
Anche per questo, chissà come reagiscono gli altri aspiranti candidati di centrosinistra, da Pizzul alla Kusterman a Civati, che invece le primarie hanno sempre voluto farle, a sentirsi dire che la loro partecipazione è praticamente un pro forma, una corsa che sono obbligati a perdere, perché a vincere deve essere Ambrosoli. Giacché queste votazioni sono, sia ben chiaro «non competitive», cioè gli altri concorrenti non contano, non devono, non possono competere col «predestinato». Il quale, ricordiamolo, è tale solo perché è stato scelto, faticosamente convinto - non aveva alcuna voglia di candidarsi - e pervicacemente imposto al suo schieramento dal nuovo dominus del centrosinistra milanese e lombardo, Giuliano Pisapia.
Ma se le cose stanno così, se si stratta, in sostanza, solo di ratificare decisioni già prese nelle stanze del potere rosso, perché gli elettori del centro sinistra dovrebbero andare a votare per queste primarie lombarde quasi finte in quanto «non competitive»? Che senso ha? Tanto più che questo rito delle primarie di cui in tanti (e non solo a sinistra) si sono perdutamente innamorati ha anche i suoi costi. Sarebbe una spesa inutile. E allora non si potrebbe risolvere tutto con una bella manifestazione o con un comizio con designazione finale per acclamazione, come si faceva per confermare i vertici del regime comunista della Germania Est? A questo punto non resta che chiedere a Tabacci come la prenderebbe lui se gli dicessero che le primarie nazionali per il centrosinistra a cui parteciperà saranno «non competitive», che la sua partecipazione serve solo a «confermare e rafforzare» quella di Bersani, vincitore designato.
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