Si faceva chiamare «Misha» e forse - visto il tenore di vita altisonante e l'iniziale riservatezza d'oltrecortina - qualcuno avrà anche creduto che si trattasse di un russo giunto in Sudamerica a leccarsi le ferite e a coprire chissà quali sporchi giri. Tuttavia, se in realtà il tuo vero nome è Mirko Cito - classe 1980, nativo di Taranto e pregiudicato prima o poi quello che sei viene fuori: un italiano in fuga dalla giustizia, che vive ai limiti della legalità, dividendosi tra furberie di vario genere e qualche colpo di fortuna. I carabinieri del comando provinciale di Milano hanno arrestato Cito una settimana fa a Panama dove il tarantino, sentendosi braccato, aveva deciso di riparare: appena sceso dall'aereo sono scattate le manette. E il brillante Misha si è ritrasformato in Cito, più o meno come un principe che torna ranocchio.
Cose che capitano. Otto anni fa, la notte del 25 marzo 2006, in via Emilio Gola, al Ticinese, da un'auto che sfrecciava sui Navigli partì una raffica di sette proiettili, sparati nel mucchio contro le persone sedute ai tavoli e in piedi davanti al pub «Brasil Samba». Colpi esplosi nel mucchio, sull'asfalto crollarono quattro persone: due italiani e due transessuali brasiliani. E fu solo fortuna se nessuno morì. Sull'auto c'era anche Mirko Cito, residente a Pieve Emanuele. Ricercato dalla polizia per quel tentato omicidio venne catturato sei mesi più tardi: l' uomo, dopo il fatto, aveva lasciato Milano per la Costa Azzurra, poi era tornato per fare il beau geste e rilasciare spontaneamente in questura una sua versione dei fatti che, a suo parere, avrebbe consolidato la tesi della propria estraneità ai fatti. Quando gli investigatori però capirono che stava per scappare, scattò il fermo. Condannato a 15 anni in via definitiva, Mirko (che ancora non era Misha) decise il carcere non faceva per lui. E visto che la moglie era brasiliana, per sottrarsi alla giustizia del Belpaese, tra documenti falsi e coperture, era riuscito a scappare dall'Italia prima che l'arresto diventasse definitivo per riparare all'altro capo del mondo, a cavallo tra Brasile, Paraguay e Argentina, nei pressi del fiume Paranà e conosciuta come Triple Frontera, la Tripla Frontiera, area un po' controversa del continente sudamericano: secondo alcuni, che la considerano pericolosissima, in questa zona è meglio non andare; per altri la rigogliosa natura che la circonda vale la fatica di un viaggio. Di certo c'è solo che la tripla frontiera è una zona di confine senza Dio e senza padrone. Per gente come Cito si tratta semplicemente di un porto franco per imprenditori, per così dire, rampanti. Lui si era messo a fare un po' di import-export si sospetta avesse qualche traffico illecito di vetture rubare.
Un anno fa Misha capisce però che anche lì per lui che non è più aria: viene controllato, fornisce le generalità del cugino (che è un coetaneo) e la passa liscia, ma solo perché il provvedimento di cattura per quel tentato omicidio sui Navigli non era ancora stato internazionalizzato. I carabinieri di Milano lo «ascoltano», gli stanno addosso. E una settimana fa lo ingabbiano a Panama.
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