Ieri pomeriggio i carabinieri di Varese hanno trovato due delle armi utilizzate dal commando che lunedì 3 febbraio ha liberato l'ergastolano Domenico «Mimmo» Cutrì con un blitz a Gallarate, fuori dalla sede distaccata del tribunale di Busto Arsizio. L'evaso e la sua banda erano stati poi tutti catturati nel giro di sei giorni dagli stessi militari del Gis. Le armi rinvenute ieri sono un kalashnikov e una pistola 98Fs con matricola abrasa, completa di caricatore e munizioni. Le armi erano state nascoste a Inveruno poco dopo l'assalto da uno dei complici, Aristotele Bunhe, il «falso ostaggio» che si era separato dal gruppo per accompagnare all'ospedale di Magenta Nino Cutrì, il fratello dell'ergastolano rimasto ferito a morte nella sparatoria con gli agenti della polizia penitenziaria. È stato lo stesso Bunhe a indicare ai carabinieri il luogo dove aveva nascosto le armi. Ora il fucile e la pistola saranno inviati al Ris di Parma per accertare la provenienza e stabilire se siano state utilizzate, come pare ormai certo, per la sparatoria.
Con il ritrovamento di parte dell'arsenale utilizzato dalla banda si aprono nuovi scenari nella vicenda di Cutrì. Come anticipato dal quotidiano La Prealpina mercoledì l'evaso, interrogato a Opera dal pubblico ministero Raffaella Zappatini ha revocato, senza lesinare i particolari, tutti i passaggi di quella fuga di appena cinque giorni, concertata da un gruppo di dilettanti più che di criminali. E ha spiegato quello che, ormai, è chiaro da un pezzo a tutti: «Io non sono un boss, non abbiamo nulla a che fare con l'ndrangheta. Noi non siamo proprio niente». Quindi Mimmo Cutrì ha ripercorso i momenti salienti della sua evasione, lanciando un appello agli altri componenti della banda, compreso il fratello minore Daniele, anch'egli rinchiuso nello stesso carcere. «Parlate, raccontate tutta la verità, le bugie non servono a nulla». L'evaso sa bene, infatti, che ciascun componente del commando che lo ha liberato una ventina di giorni fa deve precisare sia la propria posizione che quella degli altri per stabilire la chiara ed inequivocabile responsabilità della sola mano che ha ucciso suo fratello, Nino, ferito mortalmente durante l'evasione. Dagli esami balistici, infatti, era emerso quasi subito che era stata di sicuro una pistola della banda (e fino a ieri non ne erano ancora state ritrovate, ndr) a uccidere Nino Cutrì. Chi ha sparato, seppure involontariamente, lo sa bene. E se non vuoterà il sacco tutti i complici dovranno rispondere di concorso in omicidio colposo con l'aggravante dell'utilizzo dell'arma da fuoco.
Dalla ricostruzione fatta da Mimmo Cutrì sul giorno dell'evasione sono emersi anche particolari imbarazzanti per non dire ridicoli.
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