Un'altra rivolta in via Corelli gli immigrati occupano il Cie

La violenza è esplosa per i tempi lunghi dei permessi Gli impiegati prigionieri in ufficio chiamano la polizia

Paola Fucilieri

L'ex Cie (Centro di identificazione ed espulsione per clandestini) di via Corelli da due anni è stato destinato dalla prefettura all'accoglienza dei rifugiati, ma non per questo i problemi sono cessati. Forse si sono ridimensionati, magari attutiti, ma con 440 richiedenti asilo prima o poi le tensioni umane emergono e magari, a modo loro, esplodono.

Ad esempio ieri mattina. Quando, intorno alle 6, una quarantina di migranti hanno occupato una palazzina della struttura costringendo quattro operatori - comprensibilmente impauritissimi - a chiudersi in una stanza. Le ragioni? Le chiamano «lungaggini burocratiche»: le richieste di asilo politico di questi stranieri hanno tempi biblici e loro lo sanno.

L'assessore al Welfare del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, che ieri mattina è andato sul posto e oggi vorrebbe parlare della situazione con il premier Matteo Renzi. «Perché è grave. Anche se la rivolta si è conclusa senza incidenti o danneggiamenti, senza né feriti né contusi, ma solo perché gli operatori hanno gestito il tutto con molta attenzione».

Poiché i migranti non accennavano a lasciare l'edificio da via Corelli sono cominciate a partire richieste di aiuto verso la questura intorno alle 7.15, ma tutto è tornato alla normalità solo vero le 11.30. La polizia ha cercato di riportare l'ordine e di convincere le persone a tornare nelle loro stanze, senza opporre resistenza. Non è chiaro, però, se i profughi li abbiano tenuti prigionieri fino a quell'ora o se siano stati gli operatori, particolarmente impauriti, a decidere di uscire quando si sono sentiti completamente sicuri. Il tutto si è svolto all'interno, senza che sia stato possibile dalla strada accedere alla struttura, che è considerata zona militare. «Ora bisognerà vedere se decideranno di fare denuncia e cosa scriveranno eventualmente in quel caso» spiegano in questura.

Metà della struttura è assegnata al Comune per chi arriva spontaneamente a Milano e chiede asilo, l'altra metà ai migranti inviati dal Viminale nell'ambito del piano di ripartizione nazionale delle quote di sbarcati sulle coste del sud. La protesta riguarderebbe le condizioni di vita all'interno del centro, la qualità dei pasti e gli orari di apertura e chiusura dei cancelli. E la lungaggine nei tempi per la concessione del permesso di soggiorno, pratica che deve essere rilasciata dalla commissione regionale prefettizia. I tempi si aggirano attorno all'anno di attesa e non è la prima volta che gli stranieri si sono ribellati chiedendo allo Stato di accorciare la durata di questo periodo, di questa condizione d'incertezza.

Anche l'anno scorso i migranti ospiti della tendopoli di Bresso erano scesi in strada protestando per lo stesso motivo.

In un caso su due, poi, le richieste di protezione internazionale e di asilo politico vengono

rigettate e partono i ricorsi, che allungano ancora i tempi per la concessione del permesso che consente allo straniero una vita un po' più libera di quella che si può fare mentre si è in attesa del parere dell'ente pubblico.

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