Università: il Tar «libera» i posti riservati agli stranieri

É legittimo riservare una parte dei posti nei corsi universitari a numero chiuso agli studenti stranieri: ma se i posti non vengono riempiti dai giovani che vivono all'estero, gli italiani hanno diritto a subentrare. Lo ha stabilito il Tar della Lombardia accogliendo i ricorsi di tre aspiranti medici che si erano visti rimbalzare dall'università di Pavia e che ora l'ateneo sarà obbligato ad ammettere al corso di laurea.
Per l'anno accademico 2011/2012, la facoltà di medicina aveva previsto che potessero essere ammessi 60 studenti residenti in Italia e 40 residenti all'estero, di cui venti arabi, oltre a due cinesi. Ma le domande di iscrizione arrivate dall'estero non erano state sufficienti a coprire tutte le disponibilità, mentre un folto numero di studenti italiani era rimasto tagliato fuori dal corso. E l'università si era rifiutata di travasare gli italiani nei posti lasciati liberi dagli stranieri.
Ora il Tar annulla quella decisione. É pieno diritto dell'università, scrivono i giudici, garantire una quota di iscrizioni ai residenti all'estero, in nome «degli interscambi culturali e della cooperazione allo sviluppo». Ma se gli stranieri non arrivano, allora bisogna dare spazio agli italiani, in modo da «saturare le potenzialità formative di cui l'istituto universitario è capace».

Non per questo si rischia di produrre più medici di quanti servano in Italia: infatti «non è detto che tutti gli studenti immatricolati portino a termine il ciclo di studi; non è detto che gli studenti italiani rimangano sul territorio nazionale a svolgere la loro professione; non è detto che tutti gli studenti stranieri, una volta conseguito il titolo di studio, sarebbero effettivamente tornai nel paese di origine».

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