Cronaca locale

«In Usa sto bene, le orchestre fioriscono»

Il direttore esclude una rentrée in Italia: «Troppe cose dovrebbero cambiare»

Piera Anna Franini

Lunedì, scoccano le ore 22. Si è appena chiuso un concerto memorabile al Maggio Musicale Fiorentino, con quell'urlo finale della Terza Sinfonia di Prokofiev. Lì per lì, il pubblico non osa applaudire, anche se poi sarà un boato di applausi. Gli spettatori sono raggelati dalla forza virulenta scatenata dai 125 professori dell'orchestra sinfonica di Chicago. Li dirige Riccardo Muti che stasera replicherà il programma alla Scala. Il camerino è affollato, c'è una piccola delegazione da Chicago, amici, simpatizzanti, e il sovrintendente Pereira che sfodera l'appuntamento chiave della stagione a un mese dal nuovo incarico fiorentino. C'è chi fa notare a Muti che la Chicago Symphony è «una macchina da guerra formidabile», con apice negli ottoni: i leggendari ottoni della Chicago. Il Maestro replica all'istante: «lasciamo perdere la guerra. Se proprio dobbiamo usare il termine macchina, diciamo macchina espressiva. Visto come suonano?». Muti lavora con la Chicago da un decennio, «Mi trovo bene con loro, aldilà dell'aspetto strettamente musicale, c'è un bel rapporto», spiega, ma lo si percepisce chiaramente durante la conduzione. La sintonia fra podio e leggii è evidente. E così pure l'amarcord che scatta mettendo piede a Firenze dove Muti ebbe il primo incarico stabile a 27 anni, epoca in cui non faceva sensazione ricoprire ruoli importanti in gioventù, consapevoli che - salvo eccezioni - i grandi sbocciano subito. E questo fu il caso. Muti scherza con il console americano a Firenze su alcune modalità americane. «In aeroporto mi chiedono sempre: Cosa viene a fare negli Usa. Io spiego che lavoro con la Chicago Symphony. E loro: fa il medico? Bah, non proprio». Di fatto, gli Usa sono il Paese in cui quando le cose funzionano, funzionano sul serio, e Muti questo lo ha sempre apprezzato, e rimarcato. «Non possiamo fare un paragone fra Italia e Usa, sono due Paesi totalmente diversi. Ma fa riflettere il fatto che alla League of American Orchestras sono iscritte 800 orchestre, così come - per cambiare continente - nella sola Seoul vi siano 18 orchestre sinfoniche. E noi? Siamo il Paese che ha inventato il rigo musicale, le note, gli strumenti da noi quante sono? Continuo a dire questo come un ritornello e forse gli Italiani diranno che basta, l'hanno capito. Però bisogna fare qualcosa. Io ho fatto il mio percorso di vita e d'artista. Battaglio per le generazioni future, non per me. Sono tornato a parlarne anche con il ministro Dario Franceschini. Basta con le solite frasi retoriche, bisogna fare qualcosa per la cultura italiana. Dobbiamo concentrarci sulle persone. Continuiamo a perdere ricercatori, ne incontro a decine anche a Chicago.

Che futuro può avere un Paese che continua a perdere le sue grandi menti? In Italia bisogna smetterla con l'occuparsi delle cose marginali: i problemi sono altri».

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