Indossavano: jeans e maglione a collo alto, una tuta da ginnastica, un abito a fiori con scollatura a cuore, un tailleur pantaloni grigiom, un grembiule da lavoro, una tunica tradizionale, un pigiama, un vestito largo a maniche lunghe, pantaloni neri e camicetta con scollo a V, gonna al ginocchio e giacca in pelle, un tubino smanicato nero, gonna scozzese e twin set rosso. E così hanno risposto le donne vittima di stupro all'immancabile domanda fatta in tutto il mondo da poliziotti, magistrati, giornalisti: "Com'eri vestita?". Da qui, dalla domanda sbagliata figlia del pregiudizio secolare, nasce la mostra portata in giro per l'Italia lo scorso anno dall'associazione Libere Sinergie e approdata al Palazzo di giustizia.
L'esposizione degli abiti e delle storie (tradotte i quattro lingue e fruibili dai non vedenti con un Qr Code) è al terzo piano nell'atrio principale fino a oggi. Il Tribunale è stato scelto come luogo simbolo, uno dei principali in cui le vittime ottengono giustizia ma anche umiliazioni. I racconti degli abusi. «Finalmente, una laurea in legge. Un tailleur grigio, camicia bianca e così inizio il lavoro da sempre sognato. Ma un collega mi ha violentata e, nel buio del mio mondo, mi ha sussurrato Sei una povera cieca...». «Mi hanno chiesto: Com'eri vestita?, Abbracciavi spesso lo zio?, Tenevi le gambe composte quando giocavi?. Non ho mai risposto. Mi sono sempre vergognata». «Ero una ragazza introversa e silenziosa. Mi vestivo con pantaloni e maglioni larghissimi, almeno due taglie più grandi (...). Quando sono andata in bagno, lui mi ha seguita...».
All'inaugurazione della mostra tre giorni fa hanno partecipato il presidente del Tribunale Roberto Bichi, il presidente della Corte d'appello Marina Tavassi e i magistrati Fabio Rioia e Giovanna Ichino. C'era anche il padre di Jessica Faoro, la 19enne uccisa dal tranviere Alessandro Garlaschi. E tra i 17 abiti esposti c'era il suo pigiama. «Nel nostro viaggio - spiega Alessia Guidetti, presidente Libere Sinergie - ci siamo resi conto che c'è un vuoto. Molte persone non sanno cosa fare, a chi rivolgersi se una donna riceve uno schiaffo: alle prime avvisaglie di abuso. Il numero 1522 andrebbe tenuto nel portafogli come facciamo con quello, ad esempio, per bloccare il bancomat in caso di furto.
Cosa significano questi vestiti? Che il limite da non oltrepassare mai è quello del consenso al rapporto sessuale. Una consapevolezza che riguarda uomini e donne. E che, a prescindere dal tacco 12 o anche della provocazione, uno stupro non è mai colpa di chi lo subisce».
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