
È un personaggio così Nino D'Angelo; un artista che va oltre il naif. Pensate che persino Miles Davis metteva i suoi dischi mentre lui ammetteva candidamente di non conoscere sto trombettista. Lui vive immerso nella sua napoletanità, anche se negli anni l'ha trasformata in pop e anche in accenni di musica etnica grazie all'ascolto di Peter Gabriel. Ma Nino, che da tempo ha abbandonato il caschetto biondo, è una forza della natura... È reduce dalla tournèe negli Stati Uniti e il 13 giugno parte con quella italiana, significativamente intitolata «I miei meravigliosi anni Ottanta. Estate 2025» dal teatro Verdura di Palermo per girare tutta l'Italia.
Come è andata in America?
«Un successo clamoroso, migliaia di persone ad ascoltarmi, la maggioranza giovani e naturalmente tutti italiani. Il bello è che volevano ascoltare i miei brani. Ho pronti nel cassetto ho anche i classici napoletani ma con i miei pezzi mi esalto di più».
E ora il tour italiano.
«Sì, tutto esaurito, e si chiuderà naturalmente a Napoli, in Piazza Plebiscito, dove avevo previsto un concerto ma per le richieste ho dovuto raddoppiare e ne terrò due».
Il segreto di Nino D'Angelo?
«Io penso la spontaneità, la voglia di essere genuino e di cantare i sentimenti semplici ma fondamentali di questa vita purtroppo piena di orrori».
Ovvero?
«Tutte queste guerre mi hanno sempre fatto paura. Quella contro Saddam Hussein è quella che mi ha colpito di più. Su quella vicenda scrissi un brano, Odio e lacrime, contenuto nell'album Il ragù con la guerra che purtroppo è attualissimo ancora oggi».
Quindi la spontaneità è la sua forza.
«Sì, del resto ho cominciato a cantare da bambino per strada e sui treni alla stazione di Napoli. Dalla strada è venuto il mio primo disco che è stato un successo regionale. In strada si impara tutto e non ci sono soltanto i balordi, anzi».
E il successo?
«È esploso con Nu jeans e na maglietta, l'album che ha venduto oltre un milione di copie e che mi ha portato anche al cinema, dove ho girato molti film e per le musiche ho vinto anche un Nastro d'Argento e un David di Donatello».
I suoi maestri?
«Senza far torto a Roberto Murolo, il mio maestro è Sergio Bruni. A casa con papà ascoltavo sempre i suoi dischi e da direttore artistico del teatro Trianon gli ho dedicato uno spettacolo, cantando le sue canzoni, che abbiamo riproposto anche al Teatro San Carlo con la regia di Roberto De Simone».
Ma il rock non le è mai interessato?
«Sinceramente no. Dopo il caschetto ho pensato ad inventare il pop napoletano».
È vero che Miles Davis ascoltava la sua musica?
«Sì, me l'hanno detto in molti, e io da ignorante dell'altra musica non sapevo neppure chi fosse».
Ha suonato con altre star.
«Con Billy Preston, il tastierista soul preferito dei Beatles. a chi mi ha profondamente influenzato è stato Peter Gabriel, da lui ho imparato un nuovo modo di scrivere e arrangiare».
Ha festeggiato la vittoria del Napoli?
«Accidenti, ho cantato allo stadio alla festa scudetto insieme alla squadra».