Un milione in delirio: grazie Azzurri!

Massimo Malpica

Come i trionfi celebrati dagli imperatori, giusto un paio di millenni dopo. Inevitabile pensare ai fasti della Roma antica guardando gli azzurri, al ritorno dalla vittoriosa campagna di Germania, attraversare la capitale a passo d’uomo, tra due ali di folla tracimante, festante, ebbra di gioia e - un po’ - anche di birra. Cannavaro è il condottiero e il coppiere del «gruppo» di Lippi. Si solleva sulla «prua» del bus scoperto a due piani che scorta la nazionale italiana da Palazzo Chigi al Circo Massimo, e quando alza la coppa non si capisce se brilli di più l’oro del trofeo o il suo sorriso a 36 denti. Il bus è lento, lentissimo, come se invece che spinto da un motore fosse portato a spalla dalle centinaia di migliaia di romani che hanno voluto essere lì. Cellulare per gli mms in una mano, tricolore nell’altra, voce ormai sfibrata da due giorni di «poopoppoppoppoppoppò», eppure ancora in grado di riempire piazza Venezia, via dei Fori Imperiali e, infine il Circo Massimo con l’urlo «campioni», più forte dei clacson, più forte delle trombe.
L’entusiasmo nella Città eterna è incontenibile: le stime parlano di oltre un milione di persone che hanno deciso di scendere in strada - almeno 350mila soltanto al Circo Massimo - per vederla, quella coppa che era stata da noi l’ultima volta nel ’90, e solo come «ospite». Così prima di celebrarla con Carlo Verdone e Tiberio Timperi sotto il Palatino, eccola passare di mano da Cannavaro a Lippi, da Grosso a Materazzi. Ecco Totti che saluta, e lì accanto Nesta che salta come un bambino, appoggiato alla balaustra dell’autobus, scatenando i tifosi sotto di lui. Del Piero intanto, in piazza Venezia, tira fuori una bottiglia di spumante e annaffia la folla festante.
Quando finalmente alle 23 la squadra sale sul palco allestito al circo Massimo (sopra c’è scritto «Roma ringrazia gli azzurri»), mentre i megafoni scandiscono i nomi dei giocatori iridati, ci si chiede come facciano i campioni del mondo ad avere ancora l’energia necessaria per stare in piedi, tra l’estenuante finale di domenica e il viaggio infinito di ieri. E invece eccoli, abbracciati, cantare allegri l’inno di Mameli: Totti fa gli onori di casa e sfoggia un vistoso cappello giallorosso, Materazzi «scalda la piazza» cantando «siam campioni del mondo», di fronte a un tappeto immenso di bandiere tricolori.
«Sognavo da 24 anni di vivere ancora un momento così», racconta con le lacrime agli occhi Marcello, che fa il fornaio e che l’ultima volta che l’Italia del calcio è salita sul tetto del mondo aveva vent’anni. «È come tornare ragazzini», spiega maneggiando il suo cellulare come un arma per fare una foto e «rendere eterno» l’attimo. Ci sono quattro ragazzi che saltano come grilli, e nessuno di loro esisteva quando Rossi, Tardelli e Altobelli stesero la Germania. «Siamo nati tutti alla fine dell’82 - racconta Giulio - e abbiamo vissuto la vittoria ai mondiali come una specie di favola, una leggenda tramandata dai nostri genitori. E invece ora la storia è anche nostra».
Intanto sopra e sotto il palco i due giorni di feste cominciano a sedimentare.

Gli sguardi di molti virano dall’esaltazione al sentimentale, il «barbiere di Berlino» Oddo si affaccia dal palco stringendo la coppa con aria sognante. Irrompe la stanchezza, ma resta la gioia. E il milione che ha salutato il ritorno degli azzurri può tornare a casa, proprio come i 23 ragazzi di Lippi. Tutti, indistintamente, campioni del mondo.

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