Le milizie islamiche si ritirano da Mogadiscio I governativi esultano. Ma loro: «È solo tattica»

Nella Somalia devastata dalla fame, la guerra ha deciso di fare una pausa. Tattica, a quanto pare. Le milizie islamiche degli Shabaab hanno infatti abbandonato Mogadiscio, restando peraltro in altre zone del paese, e i quotidiani scontri con i governativi nella capitale potrebbero cessare. Lo hanno fatto in sordina, ieri prima dell’alba, lasciando alle truppe del governo di transizione e ai militari africani che lo sostengono i quartieri nord-orientali della capitale somala, finora sotto il loro controllo. «Abbiamo abbandonato Mogadiscio ma rimaniamo in altre città», ha detto a una radio controllata dalle milizie il portavoce Ali Mohamud Rage, aggiungendo che «i mujaheddin hanno messo in campo una nuova tattica contro i nemici di Allah».
Non sono chiare le ragioni della ritirata, ma i governativi che controllavano fino ad ieri solo metà di Mogadiscio, hanno esultato. La capitale «è stata completamente liberata dal nemico e il resto del Paese verrà egualmente liberato presto», ha annunciato il presidente transitorio somalo Sharif Cheick Ahmed in una conferenza stampa. «I nemici sono stati sconfitti», gli ha fatto eco il premier Abduweli Mohamed Ali. Difficile valutare le prossime mosse degli Shabaab, ma è improbabile che abbiano deciso di mollare, anche perché dispongono ancora di uomini e mezzi. Un rapporto Onu valuta che «si stanno trasformando da fazione armata in un consorzio di interessi economici, con alcune associazioni nate per camuffare i contributi che arrivano dai simpatizzanti nei Paesi del Golfo». A questi fondi, il cui ammontare è di fatto sconosciuto, vanno aggiunti i 70-100 milioni di dollari che, secondo l’Onu, le milizie incassano ogni anno tra tasse illegali ed estorsioni. Ma se per ora, nella capitale somala, le armi tacciono, la violenza della disperazione è comunque sempre in agguato.

Ieri ci sono stati almeno dieci morti nel corso di un assalto a un camion di aiuti umanitari del Programma alimentare mondiale in un campo a Mogadiscio. E cresce ovunque il numero di profughi e sfollati dentro e fuori i confini del Paese.

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