Al ministro non tornano i conti: «Perché i ricchi si lamentano?»

Fabrizio Ravoni

da Roma

Lo schema dell’intervento somiglia da vicino a quello di Carlo Azeglio Ciampi (anzi, forse è quello), dieci anni dopo. I contenuti, meno. Tommaso Padoa-Schioppa sembra sperso in quel banco del governo troppo vuoto. Gli occhi fissi davanti, le braccia incrociate. Dall’Eurotower di Francoforte all’arena di Montecitorio il passo è lungo. Finito l’intervento prova a scivolare fuori dall’aula il più presto possibile. È Pierluigi Castagnetti, dallo scranno più alto, a fermarlo: «Prego, signor ministro, resti in aula». E lui, diligente, si riaccomoda per sentirsi dire da Pier Ferdinando Casini: «Signor ministro, mi sembra Alice nel Paese delle meraviglie».
Padoa-Schioppa rimedia un solo applauso dalla sua maggioranza; per tutto il resto del suo intervento, tace sgomenta. Preferiscono tacere Rifondazione comunista e i Comunisti italiani quando sentono il ministro scaricare sul pubblico impiego e la pubblica amministrazione le cause della bassa crescita. «Lo stallo della bassa crescita - dice il ministro - è colpa dell’apparato pubblico troppo pesante». E dopo pochi minuti accusa di «bassa produttività» il pubblico impiego. E tace sorpresa anche l’“ala centrista” della maggioranza quando Padoa-Schioppa se la prende con i “ricchi”. «Fatico a comprendere le lamentele di chi ha un reddito di alcune centinaia di milioni di vecchie lire», dice per giustificare la controriforma fiscale. E in Transatlantico, un attimo dopo, un deputato dell’Unione bisbiglia: già, ma chi glielo spiega che con la riforma delle aliquote ci perde anche uno che guadagna 40mila euro all’anno.
Per difendere i suoi 7 miliardi di risparmi ottenuti con l’operazione Tfr, il ministro fa la storia dell’istituto. «È nato - sottolinea - quando il padrone gestiva i propri dipendenti in modo quasi patriarcale. Ed a chi parla di rapina del Tfr, ricordo - il riferimento è a Andrea Pininfarina, vice presidente della Confindustria - che il Tfr è dei lavoratori. E le imprese - sottolinea - hanno beneficiato più di tutti della manovra». Una frase a effetto che, nelle intenzioni, doveva suscitare un applauso del centrosinistra. Rimasto, al contrario, in silenzio.
Battono le mani i deputati della maggioranza quando Padoa-Schioppa cita il Vecchio testamento. Per dar conto delle misure contro l’evasione fiscale, il ministro rispolvera la frase già pronunciata durante la conferenza stampa di venerdì scorso, al termine del Consiglio dei ministri. «Sono gli evasori - dice - che hanno messo le mani nelle tasche sia dello Stato, sia in quelle dei cittadini che pagano le tasse. Violando così non solo il settimo comandamento, ma anche il principio base della convivenza civile». Un po’ di rumore dal centrodestra, applausi del centrosinistra. E Castagnetti interviene: in questo Parlamento non c’è certo chi difende chi ruba.
Il ministro non fa marcia indietro sulle accuse di «situazione drammatiche» dei conti pubblici «come nel 1992». Abbiamo trovato - aggiunge - un deserto che la Finanziaria sta irrigando con qualche goccia».
Queste gocce sono rappresentate dagli 8 miliardi che il governo conta di incassare dalla riforma del catasto e dagli studi di settore. Ma anche l’1,1 miliardi, attesi dall’aumento al 20% delle aliquote sulle rendite finanziarie. Gettito che nel 2008 salirà a 2mila miliardi.
Laconico il commento di Maurizio Lupi: «Ma Padoa-Schioppa in quale Paese vive? Forse è il caso di utilizzare - aggiunge - le parole di Montezemolo: basta demagogia». Più duro Guido Crosetto: «Questa Finanziaria delude su tutto. La famosa promessa di dieci miliardi di riduzione del cuneo fiscale per imprese e lavoratori è ridotta a miseri due miliardi; e di questi, non un euro andrà ai lavoratori».

E sottolinea: «È anche scomparso il 5 per mille di Tremonti per aiutare il mondo del volontariato. Man mano che si scopre, questa Finanziaria non è una manovra da riequilibrio; ma si tratta di una finanziaria da appropriazione indebita».

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