«Mio padre Bettino che non digeriva la Milano da bere»

Luigi Mascheroni

Bettino Craxi visse diviso tra due città, Milano e Roma... «No guardi, prima vorrei dire una cosa io se permette: papà aveva una città sola, questa. Vuole saperlo? Uno dei motivi per cui mio padre ha sofferto, e tanto, negli ultimi anni della sua vita è stato il non poter rivedere la sua città. Durante l’ultimo ricovero, quando si svegliò dopo l’operazione, la prima cosa che mi disse fu: “Ho fatto un sogno: ero a Milano”. Questo mi disse. Si sentiva milanese fino in fondo, per lui Roma era la città del lavoro ma tutti i weekend, per quarant’anni, era qui, a casa. Ecco, mi scusi, ma questa cosa dovevo dirla subito».
Bettino Craxi, almeno il Bettino Craxi pubblico, non era un uomo immediatamente simpatico, soprattutto a sentire molti giornalisti, categoria con la quale peraltro non si può dire andasse d’accordo. Era uno che si presentava dicendo: “Piacere, Bettino Craxi, segno zodiacale pesci ascendente squalo”. Scherzava, ma non del tutto. Dall’esterno il carattere era duro, scostante, altezzoso. La stessa impressione che trasmette la figlia Stefania, a chi non la conosce. «La verità è che mio padre era un timido che reagiva in quel modo alla sua timidezza. Non l’ho mai visto arrogante o prepotente. Non l’ho mai visto abbandonare uno dei suoi attaccato ingiustamente. Non l’ho mai visto dimenticare una malattia, una morte, un momento difficile di qualcuno con cui lavorava. Mi creda: era molto attento al lato umano». La stessa impressione che trasmette la figlia Stefania, a chi l’ha appena conosciuta.
«Ecco, quello era mio padre. Ed era così anche in famiglia. Non si può dire che papà avesse molto tempo libero, visto il tipo di lavoro, eppure non ricordo un padre assente, anzi. Anche quando ormai ero più grande, non passavo i weekend con gli amici. Aspettavo lui che tornava da Roma. Cosa facevamo? Andavamo assieme per mercatini, sui Navigli, oppure all’ippodromo di San Siro. Sì, certo che puntavamo: venti, trentamila lire. Per divertirsi. Non lo sa? Mio padre aveva una vera passione per i cavalli, che ovviamente mi ha trasmesso, credo si tratti di qualcosa di atavico: la famiglia di sua madre era di coltivatori e allevatori di cavalli, a Sant’Angelo Lodigiano...».
Quella del padre, invece, con radici risalenti ai Borboni, era siciliana. Vittorio Craxi, avvocato, però scelse il Nord: dopo la Liberazione arrivò a ricoprire la carica di Viceprefetto a Milano e poi quella di Prefetto a Como, dove Bettino finisce al collegio “Gallia”, dai preti, dopo che era già passato dal “De Amicis” di Cantù. «Papà era un ragazzino abbastanza difficile, diciamo turbolento. Un giorno in collegio gli trovarono addosso addirittura una pistola. L’aveva trovata dai nonni, a Casasco, punto di assistenza e di passaggio degli sfollati durante la guerra. L’avrà perduta un partigiano... Comunque la cosa gli costò una bella punizione. E so già anche cosa vuole chiedermi adesso: se è vero che a un certo punto voleva entrare in seminario. Sì, è vero. Era talmente legato a don Luigi Fontana, il rettore del collegio di Cantù, che continuarono a scriversi per anni. E del resto la nonna era molto cattolica. Si figuri che lui da bambino, a Milano, faceva il chierichetto e durante la guerra, sotto i bombardamenti, andava sulla canna della bicicletta del parroco a benedire i morti all’obitorio».
Poi la guerra e anche il dopoguerra finirono e la passione politica ebbe la meglio sull’afflato mistico. L’entrata a 17 anni nel Partito socialista (sezione Lambrate), la maturità classica al “Carducci” a Milano, l’Università Statale che però non finirà, a 19 l’incontro con Anna Maria Moncini, la futura moglie, poi i primi incarichi pubblici: dirigente della Federazione giovanile socialista, consigliere comunale a Sant’Angelo Lodigiano, membro del Comitato centrale del Partito, segretario a Sesto San Giovanni («In realtà fu una punizione, papà faceva parte della minoranza riformista e per questo lo spedirono nella “Stalingrado d’Italia”: faceva avanti e indietro in bicicletta»), consigliere comunale e poi assessore all’Economato a Milano («Fu lui a istituire le mense cittadine per i poveri») e infine, nel ’65, l’entrata nella direzione nazionale del Psi e, tre anni dopo, l’elezione a Montecitorio. Il resto, come si dice, è Storia.
E così Milano cedette il posto a Roma. «Della prima amava l’operosità e l’asciuttezza, della seconda forse giusto il clima. Milano - diceva - era “diretta”, Roma invece “papalina”. Lui, poi, che amava la storia, nella sua biblioteca aveva una sezione dedicata a Milano di centinaia di libri». Non mi dica che parlava anche il dialetto... «E sapeva a memoria anche molte canzoncine milanesi, se è per quello. E se non le basta, adorava pure il risotto». Già, il risotto. Se lo ricordano ancora al “Matarel”, la vecchia trattoria milanese di Marco Comini in corso Garibaldi. Ci andava quando era funzionario a Sesto e continuò a tornarci da Presidente del Consiglio, “quando aveva in mano al baracca”: tutti i lunedì a pranzo con i maggiorenti del partito per tracciare la linea di governo. Prima passava in cucina a curiosare, un saluto alla Elide, e poi a tavola: risotto alla milanese espresso, ossobuco, rustin ‘negaa, cotoletta impanata, minestrone freddo d’estate, magari un bicchiere di vino. Ecco l’altra faccia della “Milano da bere”, quella della pubblicità, delle modelle, dell’aperitivo, delle discoteche. «Non me ne parli, la prego. La “Milano da bere”, che incubo. Ogni volta che papà sentiva quella frase provava disgusto. Quell’immagine era e continua a essere una grande menzogna. La Milano degli anni Ottanta non era una città “vuota”, era invece una grande città europea, che funzionava benissimo, dal punto di vista economico, sociale, culturale. “Milano da bere” fu un termine spregiativo inventato dagli stessi che hanno fatto gli anni Settanta del terrorismo e gli anni Novanta di tangentopoli». Pausa. «Mio padre ha lavorato una vita per questa città. E in piazza Duomo, al 19, dove c’era il suo ufficio, un giorno metteremo una targa per ricordarlo.

Era già stata approvata, poi è andato tutto in fumo. Ma non mi arrendo, prima o poi ce la farò. Cosa ci sarà scritto? “Dal 1964 al 1994 Bettino Craxi ha lavorato qui, per il suo Paese e per la sua città”. Ecco cosa ci sarà scritto».

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