In Sicilia i Ds (sulla scia di verdi, Rifondazione e Leoluca Orlando) hanno imposto nelle primarie la «radicale» Rita Borsellino contro il più moderato Ferdinando Latteri, della Margherita. Eppure domenica l'altra, le Comunali di Messina, con una Quercia al 6,4 per cento, indicavano come l'unica speranza di vincere della sinistra fosse candidare personalità non di rottura. Intanto in Calabria c'è una rissa nella Margherita, a poche settimane dall'uccisione del vicepresidente della Regione Francesco Fortugno, per le nomine negli enti che amministrano la sanità. Con il presidente della Regione, Agazio Loiero, d'accordo con i Ds contro il proprio partito. A Napoli il sindaco uscente, l'ex dc Rosa Russo Jervolino, non si ricandida e accusa i salotti della città (ma non il governatore Antonio Bassolino) di averla sabotata.
Ds e prodiani ritenevano di dominare ormai il Mezzogiorno. Avevano conquistato, dopo la Sardegna, Puglia e Calabria. Rimaneva solo da vincere in Sicilia. I più entusiasti parlavano di vento del cambiamento, i più cinici di avvicinarsi delle Politiche e di previste svolte nel governo (e sottogoverno) nazionali.
Oggi la tendenza all'invincibilità si è inceppata. In Puglia e in Calabria le nuove amministrazioni sono in difficoltà. Il regime bassoliniano scricchiola, nonostante il suo potente sistema egemonico e la più stretta alleanza con Ciriaco De Mita. In Sicilia si ripercorre l'antica via della protesta radicale che i saggi della sinistra definiscono: «piazze piene e urne vuote».
Bassolino, ex Pci di lungo corso, più protestatario che riformista, capace di costruire consenso e di congelare per lungo periodo le scelte che creano contraddizioni al suo blocco di potere, in qualche modo ha consolidato il peso della sinistra in Campania. Ma lui stesso sente la difficoltà a reggere una situazione in cui l'immagine più che il programma, è sostegno di tutto. E dove non ci sono politici come lui, abili nel mescolare spregiudicata demagogia ad attenzione minuta agli assetti di potere, la stessa operazione non parte neanche. È che si sta cercando di collegare nel Sud posizioni duramente radicali a residui d'insediamenti democristiani, mossi solo da logiche di potere. Mancano i pragmatici che potrebbero avvicinare posizioni così divergenti. I Ds non frenano i radicali, la Margherita privilegia i «posti»: la miscela è indigeribile.
Nel Sud, alle Regionali devolution e stagnazione hanno determinato una crisi di consenso per il centrodestra. La paura di perdere l'intervento di uno Stato «più federalista» e la non ripartenza di uno sviluppo che rassicurasse sul futuro, hanno pesato in un'area dell'Italia in difficoltà. Ma oggi le divaricazioni nel centrosinistra, danno ai partiti della maggioranza di governo una chance. Certo non c'è la spinta del 2001, la convinzione che bloccare gli eccessi tassaioli avrebbe fatto ripartire tutto. Il centrodestra non conquisterà più consensi sull'onda dell'entusiasmo ma solo spiegando come la sua politica di opere pubbliche (ponte di Messina in testa), di flessibilità del mercato del lavoro, di finanza più vicina al territorio è maggiormente adatta a risolvere problemi difficili delle pulsioni schizofreniche del centrosinistra.
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