Politica

Le miss senza più bellezza

Le miss senza più bellezza

Perché non dovremmo apprezzare una bella oca? Di cosa dovremmo vergognarci? Naturalmente, la parola «oca» sta per «ragazza».
E così anche a Salsomaggiore arriva il politicamente corretto e inquina con la sua ipocrisia il concorso di Miss Italia.
Si presenta sul palcoscenico l’aspirante miss tal dei tali, ed ecco che le si chiede subito di far vedere cosa sa fare. La poveretta, allora, si mette a cantare, a ballare, a recitare poesie, e Miss Italia da concorso di bellezza diventa un concorso di deficienti (ovviamente in senso letterale).
Cosa è successo? Si è arrivati a vergognarsi della bellezza del corpo: «le gambe? per carità! chi le guarda! non contano niente!». Sono gli organizzatori di Miss Italia che dovrebbero vergognarsi della loro ipocrisia.
Ma non basta, abbiamo anche il giudizio dei vip in sala, chiamati ad esprimersi sulle ragazze in concorso: «che carattere!», «che personalità!», «che preparazione musicale!». Nessuno che dica quello che dovrebbe dire, «che sedere scultoreo!», «che seno fiappo!», «che cosce erotiche!». Vergognatevi anche voi.
La bellezza del corpo è stata il più straordinario biglietto di raccomandazione di tutti i tempi, perché la bellezza ha sempre avuto, fin dall’alba dei tempi, un fascino seduttivo irresistibile. Sarebbe il caso di non dimenticare che la civiltà occidentale inizia con un concorso di bellezza: Paride che deve giudicare la più bella. Ricordate? La Discordia rovina il festoso banchetto degli dei gettando sul tavolo una mela e sentenziando: «Alla più bella». Zeus, allora, ordina a Paride di emettere il giudizio, e il poveretto, sapendo bene a quale grana va incontro, se la dà a gambe. Soltanto che nessuno può disubbidire a Zeus, e così Paride si trova a dover decidere chi tra Giunone, Minerva e Venere sia la più bella. Quelle tre sono già dee potentissime, che hanno tutto, ma che - guarda caso - non si accontentano e vogliono anche essere «la più bella». E, come se non bastasse, il giudizio di Paride scatena la più terribile guerra mai conosciuta fino ad allora dagli uomini, quella tra i greci e i troiani.
Dunque, il mito insegna ad amare la bellezza, però anche a temerla, perché la bellezza, come dice Platone, è il dono più grande, ma miete vittime attorno a sé.
Noi avevamo un bel concorso di bellezza, per giunta inoffensivo, che non si vergognava di premiare belle gambe, bei sederi e begli occhi. E nessuno si vergognava di dire «guarda che fisico ha quella là», che, poi, poteva essere una di nome Sophia Loren o Silvana Mangano. Infatti, se oltre ad essere belle le ragazze erano anche brave, facevano il cinema, la pubblicità; altrimenti, sposavano qualche ricco commendatore, oppure si accontentavano semplicemente della loro bellezza e ritornavano al Paese da dove erano arrivate. Erano timide, impaurite, balbettanti, si impappinavano pronunciando semplicemente il proprio nome, ma belle oche simpatiche proprio perché non sapevano fare niente.
Intorno alle belle ragazze che intendono esibirsi per fare carriera si è sempre costruito un mercato più o meno ignobile e lucroso. Adesso che però si sono raggiunti vertiginosi livelli di indecenza sfrontatamente esibita dalla televisione, i benpensanti chic devono dimostrare di disprezzare quel mercato. Allora, mai dire «che belle gambe!», ma «che personalità!». Certo, per i politicamente corretti quello che conta è ovviamente essere belli dentro. Avere un bel sedere? Dio mio che bassezza!
Fantastica la ragazza (tra l’altro, perdonate, con un fisico da schianto) a cui non importa niente di avere una laurea alla Bocconi, uno dei riconoscimenti scientifici più importanti del mondo. Lei vuole essere «la più bella», proprio come Giunone, Venere e Minerva, come una dea dell’Olimpo. E partecipa al concorso che deve emettere quella sentenza. Muove il corpo come un invincibile strumento di seduzione.

Se ne frega della propria scientificità e sbatte le sue chiappe e il suo seno sotto il naso dei vip politicamente corretti, i quali, ovviamente, si interessano di quale sia la sua specializzazione alla Bocconi. Vergognatevi, ipocriti!

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