Missione segreta del Vaticano a Pechino

Il cardinale Zen: «È un gesto amichevole, ma non mi aspetto un progresso veloce delle relazioni»

Andrea Tornielli

da Roma

Prove di dialogo tra Cina e Vaticano: una delegazione della Santa Sede è a Pechino in questi giorni per incontrare alcune personalità del governo cinese. La notizia è stata rilanciata ieri dall’agenzia Asianews e la sua divulgazione è stata accolta con freddezza nei sacri palazzi, dove si sperava di mantenerla riservata per non comprometterne l’esito. «Non ho commenti da formulare sulla notizia riportata da organi di stampa circa contatti in corso tra una delegazione della Santa Sede e le autorità cinesi», ha dichiarato a fine mattinata il portavoce vaticano Joaquín Navarro-Valls, che dunque non ha smentito.
La missione in Cina, iniziata domenica scorsa, è guidata dall’arcivescovo Claudio Maria Celli, attuale segretario dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), il quale, prima di approdare a questo incarico, aveva lavorato a lungo presso il «ministero degli Esteri» vaticano e ha continuato ad occuparsi del delicatissimo «dossier Cina». A Celli non dispiacerebbe essere il primo nunzio a Pechino, nel caso si arrivasse a istituire regolari rapporti diplomatici. Insieme a lui, che è un veterano di missioni in Cina, c’è monsignor Gianfranco Rota Graziosi, della Segreteria di Stato.
Notizie sulla missione, anche se infondate e anticipate, erano state diffuse già due settimane fa, quando il cardinale di Hong Kong, Joseph Zen, aveva dichiarato che «officiali vaticani» si sarebbero trovati proprio in quei giorni in Cina. Non era vero, o meglio non era vero che la missione vaticana fosse già iniziata. L’incontro di questi giorni segue i recenti momenti di tensione tra Roma e Pechino. Dopo la decisione di Benedetto XVI di includere nella lista dei nuovi cardinali monsignor Zen, si sono infatti verificate in Cina alcune ordinazioni episcopali illecite, senza il consenso della Santa Sede, che le ha giudicate «un attentato alla libertà religiosa».
Anche nel mezzo della recente crisi, le autorità di Pechino hanno però continuato ad affermare di essere «sinceramente aperte» al dialogo con il Vaticano, lasciando intendere che il vero ostacolo sia rappresentato dai quadri intermedi del governo e cioè dall’Associazione Patriottica e dall’Ufficio affari religiosi. In Cina, com’è noto, l’unica Chiesa cattolica ha due comunità distinte: una sotterranea, un’altra ufficiale. Anche la stragrande maggioranza di quest’ultima, controllata dall’Associazione Patriottica, ha comunque vescovi che sono in comunione con Roma. Molti osservatori ritengono però che, almeno in questa prima fase del dialogo, l’associazione filogovernativa che pretende di manovrare la Chiesa, non possa essere esclusa.
La Cina pone alla Santa Sede delle condizioni precise per iniziare il dialogo: la rottura delle relazioni con Taiwan (questo non è un problema, perché il Vaticano, che ha già ridotto la sua rappresentanza nell’isola si è detto disposto a trasferire in ventiquattr’ore la sede diplomatica a Pechino) e la non intromissione negli affari interni della Cina. Questo secondo punto è più problematico. La Santa Sede, che si è detta disposta a venire incontro alla prima richiesta, non può accettare di essere emarginata dalla designazione dei nuovi vescovi. In questi ultimi anni, però, è stato inaugurato tacitamente un metodo che ha portato all’episcopato candidati graditi a Roma e dal governo cinese. Anche se l’approvazione del Papa non veniva resa pubblica, tutti sapevano che c’era stata.


A rendere difficile il cammino sono le violazioni alla libertà religiosa che hanno portato in carcere decine di sacerdoti e diversi vescovi della Chiesa clandestina. Il cardinale Zen, interpellato sulla missione vaticana ha dichiarato che la visita «è un gesto amichevole... ma non mi attendo un progresso molto veloce nei dialoghi».

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