Missioni di pace, il governo suona la ritirata

Il conto alla rovescia per le missioni militari italiane all’estero è cominciato. Dai corridoi del Palazzo filtrano informazioni secondo cui in Consiglio dei ministri al titolare della Difesa Ignazio La Russa è stato chiesto di aprire contatti con i colleghi dei Paesi alleati: l’obiettivo è quello di anticipare il più possibile i tempi del rientro dei nostri soldati dai teatri esteri in cui sono impegnati.
Principali indiziati per un ritiro accelerato sono i contingenti schierati in Libano e in Kosovo, «fronti freddi» dove il permanere delle nostre forze armate è meno necessario e giustificato. Ma anche la missione che ci vede più impegnati su una prima linea «calda», quella in Afghanistan, è destinata nelle intenzioni del governo a essere terminata il più possibile in anticipo rispetto alla scadenza ultima prevista in accordo con gli alleati, il 2014.
Le ragioni che spingerebbero il premier a questa scelta sono di due ordini principali: economico e politico. È un fatto che mantenere contingenti numerosi come quello in Libano, la cui utilità concreta è oltretutto ormai discutibile, o quello nel Kosovo, teatro ormai fortunatamente «raffreddato» rispetto agli anni della crisi dei Balcani, impone al contribuente italiano costi sempre più difficili da giustificare. E in un momento in cui il ministro dell’Economia Tremonti cerca di tagliare spese non indispensabili per far quadrare il bilancio dello Stato, la scelta di abbattere i costi delle missioni militari all’estero ha una sua logica.
Ma esistono anche considerazioni di ordine diverso. Più volte anche nel recente passato il presidente del Consiglio Berlusconi ha infatti osservato che sempre più spesso il sacrificio talora della vita richiesto ai nostri soldati anche sul fronte caldo dell’Afghanistan spinge a porsi interrogativi sul suo significato. Ora il premier sembra giunto alla conclusione di voler passare ai fatti. Con una scelta, appunto, di carattere politico.
È evidente che il compito affidato a La Russa non è dei più semplici. Non c’è dubbio che i Paesi alleati, a cominciare dagli Stati Uniti, cercheranno di indurre l’Italia a mantenere le attuali posizioni, che ci vedono tra i principali attori nelle missioni internazionali della Nato e dell’Onu con uno sforzo generoso che impegna diverse migliaia di uomini. Al tempo stesso è ovvio che il ministro della Difesa prospetterà agli alleati tempi e modalità di ritiro ragionevoli e non drastiche marce indietro.
Nessuno, insomma, verrà messo davanti a fatti compiuti: non avrebbe senso e non è questo l’obiettivo di un governo che ha sempre voluto dimostrarsi responsabile a livello internazionale.

Tuttavia, esistono spazi di manovra quantitativi e temporali che Berlusconi intende gestire in piena autonomia. Il momento è infatti tale da richiedere una rivalutazione delle priorità. E l’Italia non sarà comunque il primo Paese a decidere passi di questo tipo.

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