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La mistificazione L’eccidio di 22mila ufficiali nascosto da Stalin

Il massacro di Katyn, l’eccidio staliniano di circa 22mila ufficiali polacchi tra l’aprile e il maggio del 1940, è una delle pagine più buie del Novecento e una delle maggiori mistificazioni dell’Urss: le responsabilità del regime comunista furono ammesse solo nel 1990 da Gorbaciov. Fino ad allora Mosca aveva continuato ad attribuire ogni colpa ai nazisti, che invece avevano scoperto il massacro nel 1943 durante l’invasione dell’Urss. Neppure il potente capo della propaganda tedesca Joseph Goebbels riuscì ad inchiodare Stalin, nonostante le prove raccolte sul campo da esperti stranieri e giornalisti indipendenti: la macchina propagandistica sovietica fu più forte, grazie anche ai crimini già commessi dai nazisti e al silenzio degli alleati occidentali, a partire da Churchill e Roosevelt, che anteposero la stabilità dell’allenaza anti hitleriana alla morale e alla verità storica. Dopo l’invasione della Polonia orientale nel 1939, l’Armata Rossa fece numerosi prigionieri e li deportò. Il 5 marzo 1940 Beria propose a Stalin di eliminarne circa 22mila «in nome dell’interesse supremo dello Stato» e il Politburo approvò. Erano quasi tutti ufficiali ma anche professori, medici, avvocati, il nerbo di una possibile resistenza o rinascita della Polonia. Dopo una sommaria identificazione, furono ammazzati tutti in un mese e mezzo con un colpo alla nuca, in una stanza o in piedi davanti alle fosse comuni scavate in Russia, fra cui la foresta di Katyn. Fu usata appositamente una pistola in dotazione ai nazisti, la Walther Ppk.

Dopo l’ammissione di Gorbaciov e la consegna di molti documenti da parte di Eltsin, la procura generale russa aprì un’inchiesta conclusasi dopo oltre dieci anni nel 2005 con l’individuazione dei colpevoli (tutti morti) ma l’esclusione del genocidio o del crimine di guerra, come chiede ancora la Polonia. Due terzi dei faldoni processuali sono ancora coperti dal segreto di Stato.

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