Vittima esemplare dellingratitudine umana, ebbe la vita rovinata da chi avrebbe dovuto fargli un monumento. Lo perseguitarono i preti, ma carnefici furono proprio i laici che si era proposto di liberare dalle ingerenze ecclesiastiche. È stato il Giordano Bruno del XVIII secolo, con una differenza: tanto il Nolano era ribelle, quanto il Nostro fu mite.
Destinato pigramente alla carriera sacerdotale, venne invece avviato allavvocatura dal padre, uno speziale pugliese, non appena si accorse del vivo ingegno del figliolo. Spedito a Napoli, il diciottenne si avvicinò a Gaetano Argento, un principe del foro che raccoglieva i giovani migliori. Il gruppo era consulente del governo nella conduzione degli affari di Stato. Quando nel 1707 al regime spagnolo subentrò quello austriaco, lopera delléquipe fu ancora più richiesta. Il Viceré asburgico aveva infatti trovato una situazione che ai suoi occhi di nordico pareva intollerabile. La Chiesa e lo Stato erano inestricabilmente mescolati e luna voleva avere lultima parola sugli atti dellaltro. Il Viceré pretendeva chiarezza e la squadra di Argento si mise al lavoro.
Il Nostro, più degli altri, si consacrò al compito. Organizzò in modo ferreo la propria vita. I giorni feriali erano dedicati ai guadagni forensi. I festivi, agli studi sui fondamenti giuridici delle ingerenze ecclesiastiche nello Stato. Riesaminò la storia del Regno e i documenti sui quali la Chiesa basava le pretese. Scoprì falsi e prepotenze. Le colpe dei re angioini che avevano ceduto al papato. I meriti degli aragonesi che avevano tentato di frenarlo. E si fece un quadro completo delle cause che portavano alla confusione dei ruoli. Prima di vedere la luce, il lavoro durò tuttavia un paio di decenni.
Lerudito, solitario per natura, si isolò ancora di più. Soffriva di «incessanti rutti e acetosi» dovuti ai «visceri viziati». Chino giorno e notte sulla sua rivoluzionaria controstoria del Regno, aveva come unico «ristoro il godere delle belle fattezze del corpo di una donzella che io - scrive nella sua Vita - ebbi verginella in mio potere». Costei, Elisabetta Angela Castelli, era una popolana che, facendogli da servetta, gli dette anche due figli, Giovanni e Fortunata.
Giunto al quarantasettesimo anno detà, il Nostro dette alle stampe lattesa Istoria civile. Lopera, in diversi volumi, annichiliva le pretese feudali della Chiesa e restituiva al potere laico la sovranità del Regno. Il successo a Corte fu immenso. Ma i preti reagirono subdolamente contro lautore. Oltre a trattarlo da eretico, gli attizzarono contro la credulità popolare. Poiché il sangue di San Gennaro tardava a sciogliersi, gliene attribuirono la colpa. Impaurite, le autorità laiche presero le distanze dal loro campione. Il Nostro, rimasto solo e temendo per la vita, fuggì nottetempo da Napoli. Fu linizio dellesilio che non ebbe più fine.
Attraverso Trieste e Lubiana, il fuggiasco raggiunse Vienna. Qui rimase undici anni, legandosi di amicizia con Eugenio di Savoia che gli mise a disposizione la sua vasta biblioteca. Intanto, lIstoria era tradotta in francese, inglese, tedesco e la fama dellautore si estendeva in Europa. Ma la Chiesa riprese la persecuzione e riuscì infine a convincere limperatore Carlo VI a cacciarlo. Il Nostro, con lillusione di poter rientrare a Napoli, tornò in Italia stabilendosi a Venezia.
Qui riprese a scrivere altri saggi sulla separazione tra Stato e Chiesa, sempre con severo senso di responsabilità e senza punte di fanatismo. Gli fu proposta la cattedra di Diritto Civile a Padova, ma la Curia riuscì a far sospendere lofferta. Alcuni mesi dopo, mentre linfelice passeggiava meditabondo per le calli alle tre di notte, venne catturato da un gruppo di sgherri del SantUffizio. Caricato a forza su unimbarcazione, fu abbandonato nel ferrarese in territorio pontificio. Raggiunse fortunosamente Milano, temporaneamente sotto la sovranità dei Savoia. Ma anche qui la Chiesa era già arrivata a fargli il vuoto attorno. Si era infatti accordata col più importante dei ministri sabaudi, il Marchese dOrmea, per arrestarlo in cambio di un concordato tra Santa Sede e Piemonte. Intuendo la trappola, il Nostro si rifugiò appena in tempo a Ginevra. Meno di un anno dopo però, un falso amico, in realtà agente di Torino, gli propose di assistere in territorio savoiardo alla messa delle Palme e gli fece attraversare il confine. Nel villaggio di Vésenaz fu arrestato e condotto nella Fortezza di Miolans, la stessa in cui, 40 anni dopo, sarebbe stato rinchiuso il Marchese De Sade. Era linizio della fine.
Il Nostro restò in carcere 12 anni, fino alla morte. Da Miolans andò a Ceva. Da Ceva nella Cittadella di Torino. Gli fu messo alle costole un prete, labate Prever, che riuscì a estorcergli unabiura. «Io detesto, ritratto, rivoco tutto ciò che ho scritto», giurò linfelice con la sottintesa speranza di ottenere la grazia.
Morì a 72 anni. Aveva firmato molte opere col suo nome. Un paio col suo anagramma, Giano Perontino.
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