Moggi disperato: «Lasciate stare mio figlio»

La sua difesa: «Ho agito così per non essere sovrastato, per non essere io la vittima dei poteri forti». Ma non nega il «sequestro» nello spogliatoio dell’arbitro Paparesta

Marcello Di Dio

da Roma

Un ex convento del ’500 dove iniziare a confessare i propri «peccati». E a raccontare le verità - mentre un registratore imprime su nastro le sue parole - sugli intrecci del calcio sporco, un mondo che da domenica pomeriggio non è più il suo. È un Luciano Moggi «stanco e provato da una serie infinita di avvenimenti succedutisi in pochi giorni, insomma in condizioni fisiche e psicologiche disastrose», come riferiscono i suoi legali Trofino e Gianaria, quello che si presenta davanti ai pm napoletani Beatrice e Narducci, titolari dell’inchiesta sulle presunte irregolarità del campionato 2004/2005. Un’immagine molto diversa da quella del Moggi potente incontrastato del football nazionale.
Moggi è costretto a spegnere il telefonino, causa principali dei suoi guai, prima di entrare nella stanza al terzo piano dell’edificio in via in Selci. Qui lavora il tenente colonnello Giovanni Arcangioli, comandante del nucleo operativo dei carabinieri di Roma. Qui furono interrogati i presunti assassini di Alberica Filo Della Torre, la vittima del famoso delitto dell’Olgiata. Roberto Jacono e il filippino Winston Manuel furono poi scagionati dopo l’esame del Dna. Nelle sei ore di audizione - che per motivi di trasparenza si svolge a porta aperta, con un carabiniere che piantona l’ingresso e tiene lontano i curiosi del comando - Moggi è molto collaborativo complice un clima disteso (pausa caffè dopo nemmeno un’ora, un aperitivo nel corso del pomeriggio). Non mancano però un paio di momenti di tensione, nei quali Moggi avrebbe addirittura pianto. Soprattutto quando difende con forza la sua famiglia, travolta dalla bufera del pallone. «Lasciate stare mio figlio. Lui non c’entra niente», la frase di Lucianone quando i pm fanno il nome di Alessandro, patron della Gea e uno degli indagati principali dello scandalo intercettazioni.
Nel lungo interrogatorio Moggi passa in rassegna moltissimi argomenti. «Ho voluto chiarire tutto», dice pochi minuti dopo essere uscito dal comando dei carabinieri. Così nega l’esistenza di una «cupola», ovvero di un ipotetico gruppo di potere capace di controllare e amministrare il mondo del pallone. «Ciascuno in questo mondo pensa per sé e le alleanze sono ballerine - le frasi di Lucianone ai pm -. C’è conflittualità e assolutamente non accordo. E io non sono il burattinaio del calcio, né il virus che l’ha reso malato. La Juventus è la squadra più amata del calcio italiano, ma non il potere più forte. Il sistema calcio è fatto di diverse forze e poteri, squadre, diritti e così via». L’ex dg bianconero esclude quindi l’esistenza di un’associazione a delinquere. In sostanza, se ci sono stati comportamenti censurabili dal punto di vista penale, secondo la difesa di Moggi, questi apparterrebbero all’iniziativa di singoli.
I magistrati lo incalzano con domande, vogliono saperne di più sul cosiddetto «sistema Moggi», scenario tratteggiato dalle numerose intercettazioni telefoniche effettuate. Molte delle quale ieri sono state fatte ascoltare al dirigente di Monticiano. L’analisi più approfondita è su quelle che riguardano la composizione delle griglie arbitrali o la vicenda che riguarda l’arbitro Paparesta e i suoi assistenti, chiusi a chiave da Moggi negli spogliatoi al termine di Reggina-Juventus del 6 novembre 2004. Il dirigente ricostruisce l’accaduto in maniera simile a quanto pubblicato nel verbale delle intercettazioni, non negando in sostanza l’episodio.
«Ho agito così per non essere sovrastato, per non essere io la vittima dei poteri forti», la risposta di Moggi al quesito sul perché di certi suoi comportamenti. Secondo i legali, è stato difficile per il loro assistito Moggi collocare i ricordi nello specifico e nel particolare. «Si tratta di ricordi vecchi di due anni - dice l’avvocato Paolo Trofino - e di migliaia di telefonate. Moggi ha cercato di chiarire ogni cosa, ma è arduo». Ecco che, precisa il legale, «sarà probabile, dovendo dare molti e ulteriori riferimenti cronologici, o rivedersi con i pm o dare una memoria difensiva». La Mercedes e le 2 Bmw sgommano via da un ingresso secondario, lo stesso scelto per accedere nell’edificio ed eludere fotografi e telecamere.

Di fronte c’è il dipartimento della facoltà di ingegneria elettrica e un professore buontempone finge un colloquio al telefonino con Moggi: «Luciano, non te lo posso promuovere...».
«È stata una giornata interlocutoria, tireremo le somme più avanti», il commento dei pm Beatrice e Narducci che presto fisseranno la data di una nuova audizione. A telefonino rigorosamente spento.

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