Cultura e Spettacoli

«Mon colonel, omaggio a Gillo»

Costa-Gavras parla del film di cui ha scritto la sceneggiatura

Cinzia Romani

da Roma

«A nome dell’Associazione dei produttori francesi, nonché mio e di mia moglie, voglio rendere omaggio a Gillo Pontecorvo e alla sua famiglia. Mi dichiaro personalmente amareggiato dal fatto che la Francia non lo abbia ricordato», parte a gamba tesa il regista del cinema francese, ma di origine greco-russa Costa-Gavras, che ieri, prima di concedersi alla stampa e subito dopo aver onorato la memoria dell’amico scomparso cinque giorni fa, si è cordialmente intrattenuto con il collega Ettore Scola, pacche sulle spalle e aria complice tra i cineasti quasi coetanei e, soprattutto, ancora devoti al cinema di denuncia civile. In realtà, l’autore classe 1933, prevalentemente ricordato per Z - L’orgia del potere, film che nel 1969 gli conquistò fama mondiale, con la violenta denuncia dei sistemi polizieschi greci, oggi è un signore ingrigito, quasi ragionevole, il cui unico vezzo citazionista (del proprio gauchisme) sono i calzini rossi.
Alla Festa con Mon colonel, opera prima di Laurent Herbiet, prodotta dalla moglie Michèle Ray-Gavras, sulla guerra d’Algeria e di cui ha scritto la sceneggiatura, insieme a Jean-Claude Grumberg, Constantin detto Gavras avanza sotto il segno di Pontecorvo. «Mon colonel è un tributo alla sua Battaglia d’Algeri, film che ho dovuto vedere, quasi alla macchia, a New York, perché in Francia, appena uscì, fu vietato», racconta. «Ed è un seguito dell’opera di Gillo, ancor oggi moderna, e del neorealismo italiano, che ha influenzato il cinema mondiale, dalla Nouvelle Vague a Cassavetes». In sala, una coppia di pensionati francesi e giovani studenti parigini bevono letteralmente le sue frasi, come fossero a un seduta dei Cahiérs du Cinéma». «Oggi è sempre più difficile reperire i fondi per girare», lamenta Costa-Gavras, sottolineando come la presenza del passato sia «una costante nella vita politico-sociale della Francia».
Nell’interessante lavoro di Herbiet, ambientato nella Parigi d’oggi, il colonnello in pensione Raoul Duplan viene trovato morto, una pallottola in testa. E comincia il fitto intreccio tra grande storia (la guerra d’Algeria) e piccola storia (la vicenda personale di Guy Rossi, aiutante di campo del colonel ai tempi del colonialismo francese). «La quasi assenza, dai nostri schermi, della guerra d’Algeria quale tragedia personale di otto milioni di persone, allontana da noi tali drammi. So che pure in Italia il rendiconto col passato è doloroso, ma bisogna affrontarlo», esorta il regista, raccontando che a Toronto, al cui Festival Mon colonel è stato già presentato, la stampa americana chiese se avesse girato il film in relazione alla guerra in Irak. «Quando si parla d’una guerra, si parla di tutte le guerre... Guantanamo, il Kossovo, l’Algeria, non importa. Tuttavia, non va dimenticato che il cinema è spettacolo, ha bisogno di storie. E poi la gente va al cinema per divertirsi, ma preferisco combattere a modo mio, seguendo l’attualità».
Tuttavia, Mon colonel, con il cantante Charles Aznavour in un ruolo da protagonista, ha la pretesa, per lui e per la moglie, che ha impiegato sette anni a reperire i fondi necessari, «di ricordare ai francesi che l’Algeria non appartiene più alla Francia, ancora attaccata alle vecchie carte geografiche d’una volta, con i due Paesi dello stesso colore». E sebbene sia «inaccettabile il terrorismo internazionale, così come le Brigate Rosse, è doveroso fare dei distinguo, pensando che Arafat, per esempio, fu considerato un terrorista, venendo ricevuto ovunque».

È andata meglio quando Costa-Gavras ha ammesso che il cinema «non sta lì, a cambiare il mondo».

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