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Dietro i cortei di Greta Thunberg, si intravede una rete unica

Dietro Greta esiste sorta di rete transnazionale per il clima dove accanto alla "spontaneità" e alla indiscussa buona fede di milioni di persone esiste anche una regia ben definita

Dietro i cortei di Greta Thunberg, si intravede una rete unica

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Lo ha spiegato qualche giorno fa con estrema chiarezza l'ex ministro Giulio Tremonti: "Se uno pensa che Greta Thunberg sia un fatto spontaneo e naturale, forse non ha idea di quale macchina politica e mediatica sta dietro Greta, non è mica Giovanna D’Arco, è un fenomeno complesso, con un investimento di capitali straordinario alle spalle ed è il tentativo di ridisegnare la struttura industriale fatta con la globalizzazione". In effetti, di così "spontaneo" e naturale nel fenomeno Greta Thunberg c'è ben poco e non perché l'attivista svedese per il clima sia insincera ma perché è inconsapevolmente la punta dell'iceberg di un meccanismo politico-mediatico ben oliato, organizzato.

Una sorta di rete transnazionale per il clima dove accanto alla spontaneità e alla buona fede di milioni di persone, ai social e a tutto quanto, esiste anche una regia ben definita. Come nota Daniele Capezzone su La Verità, basti pensare ai cartelli e gli slogan che, nelle piazze di tutto il mondo, hanno caratterizzato le manifestazioni verdi, con assonanze quasi letterali, con frasi identiche "casualmente" riprodotte nelle lingue di mezzo mondo. Da quello più "ribelle" e volgare come "Fuck me, not the Earth" che diventa "Fotti me, non la Terra" a quello più politicamente corretto "There is no planet B", tradotto pari pari in "Non c' è un pianeta B". Pure coincidenze dettate dalla nuova moda eco-chic? Può darsi, ma questa è soltanto la superficie di un movimento appoggiato da molti "potenti" del pianeta e celebrato persino a al World Economic Forum di Davos. La prima "rivoluzione" contro i potenti sponsorizzata dagli stessi potenti, da Bill Gates a Christine Lagarde, passando per Barack Obama.

In una scrupolosa e ben documentata analisi pubblicata su New Eastern Outlook, lo studioso F. William Engdahl, consulente e docente di rischio strategico, va al cuore del fenomeno Greta. Engdahl cita The Manufacturing of Greta Thunberg, libro pubblicato dall'attivista per il clima canadese Cory Morningstar, che prova a smascherare il "bluff" del climaticamente corretto. L'attivismo di Greta è legato - forse inconsapevolmente - ad Al Gore, presidente del gruppo Generation Investment. Il partner di Gore, David Blood, ex funzionario di Goldman Sachs, è membro della Task Force sul clima presieduta dal miliardario Micheal Bloomberg. Greta Thunberg e la sua amica diciassettenne americana, Jamie Margolin, sono state entrambe nominate come "consiglieri speciali" della Ong svedese We Don't Have Time, fondata dal suo Ceo Ingmar Rentzhog, l'esperto di marketing e pubblicità che per primo ha diffuso sui social gli scioperi di Greta. Rentzhog è membro dei leader dell'Organizzazione per la realtà climatica di Al Gore e fa parte della Task Force per la politica climatica europea. Il Climate Reality Project di Al Gore è partner di We don't have time.

Secondo Morningstar, “il complesso industriale non-profit può essere considerato l’esercito più potente del mondo. Impiegando miliardi di dipendenti tutti interconnessi, le campagne odierne, finanziate dalla oligarchia dominante, possono diventare virali nel giro di poche ore, instillando pensieri e opinioni uniformi, che gradualmente creano l’ideologia desiderata. Questa è l’arte dell’ingegneria sociale”. Questo, ad essere onesti, non significa per forza di cose che Greta Thunberg sia una marionetta o un prestanome di qualche miliardario. O che sia sul libro paga di qualcuno. Ma non si può nemmeno pensare che una campagna mediatica di queste dimensioni globali sia del tutto "spontanea" o nasca nel nulla. I collegamenti sopra elencati ne sono una prova. "L'immagine che emerge è il tentativo di una riorganizzazione finanziaria dell'economia mondiale usando il clima - ossserva Engdahl - per cercare di convincere la gente comune a compiere sacrifici indicibili per salvare il nostro pianeta".

Peraltro, come abbiamo spiegato in questo articolo, anche se le economie avanzate azzerassero le loro emissioni entro il 2030 – come auspica Greta, incurante o ignara delle ripercussioni sociali – i target per il contenimento dell’aumento della temperatura entro i 2° non sarebbero raggiunti. Tuttavia, auspicare che le economie emergenti taglino le emissioni di gas climalteranti significa auspicare che si blocchi il meccanismo attraverso cui centinaia di milioni di persone stanno fuggendo dalla povertà. Con conseguenze umanitarie, sociali e politiche potenzialmente catastrofiche.

Di questo però né Greta né i suoi seguaci osano parlare mai.

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