Khalifa Haftar, classe 1943. Da semplice cadetto partecipò al colpo di Stato di Gheddafi. Era il 1969. Fu sempre vicino al raìs e condusse, per volere di Gheddafi, la guerra contro il Ciad (1987). Venne fatto prigioniero e il raìs lo abbandonò. Una volta riacquistata la libertà, Haftar cercò, appoggiato dalla Cia, di ribaltare Gheddafi. Non ce la fece e si rifugiò in quello Stato che aveva combattuto nel 1969: il Ciad.
Da qui, provò a invadere la Libia, ma anche in questa occasione fu un fiasco. Così, come scrive The New Yorker, "la Cia dovette trasferire Haftar e 350 dei suoi uomini prima in Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) e poi negli Stati Uniti, dove il generale ottenne la cittadinanza e rimase a vivere per i successivi vent'anni".
Da qui continuò a collaborare con i servizi segreti americani. Venne poi la rivolta del 2011, la "primavera araba" che portò alla morte di Gheddafi. La destabilizzazione della Libia era ormai avviata. Le armi del raìs erano nelle mani degli insorti e vigeva la legge del più forte, tanto che Rory Stewart, parlamentare britannico in Libia, in quei giorni disse: "Mi piacerebbe sapere chi disarmerà tutte queste milizie".
Di certo non Haftar, che, da quando è tornato in Libia (2014) sta facendo la guerra ai terroristi (o presunti tali). Già, perché gli stessi americani, mentre con una mano spingono il generale, con l'altra lo frenano: "Sta ammazzando la gente, sostiene di prendere di mira solo i terroristi, ma la sua definizione di terrorismo è troppo ampia. È un vigilante.
E con questo comportamento otterrà un unico risultato: spingere i suoi avversari a unirsi contro di lui, fornendo una causa comune ai moderati e alle frange più radicali di Alba libica".Haftar rischia di essere l'ennesimo dittatore libico. Che potrebbe, però, far della Libia la nuova colonia americana.
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