Ci risiamo. Al grido di «Palestina Mon Amour» quotidiani e telegiornali del Belpaese si lasciano alle spalle il cronico disinteresse per il resto del mondo e si lanciano in una gara all'ultimo articolo per raccontarci l'ennesima guerra tra Hamas e Israele. Ma mentre i nostri mezzi d'informazione ci regalano fremiti d'indignazione per la tragedia di Gaza, una stampa internazionale, solitamente assai più attenta agli affari del mondo, ci dispensa cronache assai più misurate. La differenza la fanno la storia e la politica. Da noi la questione palestinese è stata per decenni il cavallo di battaglia di una sinistra pretestuosamente anti israeliana. E di una stampa devotamente allineata. Vittima di una sorta di complesso pavloviano la nostra stampa persevera nelle vecchie abitudini nonostante il principale partito della sinistra sia ormai nelle mani di un Matteo Renzi che proverebbe, probabilmente, un sincero imbarazzo a stringere la mano ad un capo fondamentalista.
La manifestazione più grave di questo cronico riflesso condizionato è l'incapacità, talvolta, di distinguere la causa palestinese da quella di Hamas ritrovandosi così al servizio della propaganda fondamentalista. A differenza dei giornali stranieri molte testate nostrane continuano a raccontarci un'inesistente guerra di Israele ai palestinesi anziché lo scontro con una fazione che ha fatto del terrorismo la sua principale arma. Una fazione che nel 2007 sbatté fuori da Gaza i «fratelli» dell'Anp eliminando a colpi di esecuzioni sommarie chi non s'allineava ai suoi diktat. Una formazione armata che ha brutalmente assassinato tre innocenti ragazzini israeliani. Un'organizzazione che il 7 luglio, mentre il governo israeliano invitava a rispondere «con calma alla calma», completava un tunnel per far penetrare un commando suicida dentro Israele e, scoperta, scatenava i missili per sopperire all'insuccesso. Sull'onda di queste sviste scompare dalle cronache nostrane anche qualsiasi riferimento all'intervista in cui il presidente palestinese Mahmoud Abbas, intervistato dalla televisione libanese Al Mayadeen, scarica su Hamas le responsabilità per le vittime di Gaza, condanna chi da «entrambe le parti» usa «la guerra per i propri interessi» e ricorda che «gli unici a rimetterci saranno i palestinesi».
La posizione del presidente palestinese, qui da noi assai ignorata, fa il paio del resto con quella di gran parte dei Paesi arabi. Primo fra tutti quell'Egitto del presidente Abdel Fatah al-Sisi che non si limita a considerare Hamas, nato da una costola della Fratellanza Musulmana, alla stregua di un nemico, ma sigilla i tunnel usati per rifornire la Striscia e blocca al confine gli sfollati in fuga dalle aree attaccate dagli israeliani. Un atteggiamento largamente condiviso dai sauditi che in questi giorni non spendono una parola per Hamas e soci. E anche la decisione di convocare solo domani una Lega Araba riunita, in altri tempi, in tempi assai più rapidi è significativa della diffidenza che circonda ormai il regno fondamentalista di Gaza.
Un regno dove donne e bambini continueranno a morire a centinaia a causa dell'inveterata consuetudine di usare i civili come scudi umani. Una consuetudine ampiamente documentata dal rapporto di Human Rights Watch che analizzando la morte dei 135 palestinesi uccisi da Israele durante le operazioni del 2012 a Gaza ricorda come Hamas metta a repentaglio le vite degli abitanti «lanciando ripetutamente razzi da aree densamente popolate nei pressi di abitazioni, centri d'affari e hotel».
Conclusioni spesso accolte con distratta sufficienza da una stampa nostrana ancora incline, talvolta, a considerare la tragedia di Gaza una fiera battaglia per l'indipendenza anziché la cinica partita di un'organizzazione pronta a sacrificare i suoi stessi civili per riconquistare l'attenzione e la solidarietà internazionale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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