I rapporti tra Italia e Francia sono spesso rapporti complicati. La storia ha uniti i destini dei due popoli in modo quasi inestracibile. Tuttavia, queste relazioni, anche oggi, appaiono dense di opportunità come di incompresnioni, rivalità e sospetti, ma anche interessi reciproci e obiettivi comuni. Il Trattato del Quirinale, giunto alla sua firma dopo anni di negoziati fatti di alti e bassi, ha rappresentato forse un punto di svolta tra Parigi e Roma. E oggi, in particolare con questa nuova Unione Europea forgiata su equilibri meno marcati rispetto agli anni precedenti, Italia e Francia sembrano tornare a dialogare per costruire relazioni diverse.
Per comprendere meglio il punto di vista transalpino, in particolare dopo il Trattato del Quirinale e in vista del semestre Ue a gudia francese, ne abbiamo paralto con Christian Masset, ambasciatore di Francia in Italia.
Il Trattato del Quirinale ha avuto un peso molto rilevante nel dibattito italiano. E arriva anche in un momento particolare: con la Germania senza la leadership di Angela Merkel
"Il Trattato è uno strumento di lungo termine che è servito a porre fine ad una anomalia. Italia e Francia, malgrado una storia comune e l’importanza reciproca, non avevano una cornice entro cui strutturare la loro relazione. Esiste un paradosso della prossimità: eredi di una cultura comune ma con una storia molto diversa, situazione che ha potuto creare incomprensioni. Bisogna conoscersi meglio. Dobbiamo parlare, lavorare insieme ed essere una forza trainante in Europa. La relazione italo-francese è complementare a quella franco-tedesca o italo-tedesca: ha un valore proprio. È una evidenza. Il trattato l’ha resa più forte"
Avete avuto la sensazione di un'accelerazione con l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi?
"Il percorso è iniziato nel 2017 con Paolo Gentiloni, è stato ripreso con Giuseppe Conte. Con il governo Draghi c'è stata l’accelerazione e la conclusione. Questo trattato viene da lontano. Voglio anche sottolineare il ruolo del presidente Mattarella, che è sempre stato attento alla qualità della relazione tra Italia e Francia. Si un tratta di un partenariato tra uguali che mette al centro la reciprocità"
A proposito di "uguali" e "reciprocità", in tanti hanno posto delle critiche al Trattato perché il rapporto Italia-Francia appare spesso squilibrato in favore di Parigi. L'allarme, per esempio, è sul cosiddetto "shopping" francese nel nostro Paese
"Questa visione non corrisponde alla realtà. Il nostro rapporto è bilanciato. Per esempio, quelli che parlano erroneamente e in modo negativo di 'shopping' francese in Italia, forse non sanno che c'è un surplus commerciale notevole in favore dell'Italia. E in Francia non ci sono critiche, nonostante sia molto importante. D'altra parte, è vero che ci sono più investimenti francesi in Italia che non il contrario, ma deriva anche dal fatto che l’Italia esporta beni, mentre la Francia preferisce produrre nel mercato dove vuole vendere. Per questo le aziende francesi investono in Italia. Si comportano come aziende 'italiane' e creano valore qui, rappresentando 200mila posti di lavoro, ricerca, transizione ecologica e digitale. E vorrei dire che noi vogliamo più investimenti italiani in Francia: l'investimento estero è un elemento che favorisce crescita e lavoro e le aziende italiane che lavorano in Francia, che sono in migliaia, sono benvenute. L'Italia è oggi il terzo investitore nel mio Paese"
In questo rapporto tra Parigi e Roma, un peso importante lo ha avuto la politica estera. Penso soprattutto alla Libia, dove per molto tempo i due Paesi sono apparsi distanti, se non rivali. Cosa è cambiato ora?
"Ci siamo parlati e abbiamo lo stesso obiettivo: una Libia stabile, prospera e in sicurezza con libici padroni del proprio destino. Perché altrimenti diventa preda di potenze esterne o gruppi che creano l’insicurezza nel Mediterraneo, trasformano la Libia in una porta aperta a traffici di esseri umani o di armi. Parigi e Roma fanno le cose in comune. Entrambi sosteniamo il processo di Berlino. Il vertice di Parigi sulla Libia del 12 novembre è stato co-presieduto da Italia, Francia e Germania. Ovviamente abbiamo una storia diversa nei rapporti con la Libia, ma la posta in gioco è la stessa: ci serve la stabilità del Mediterraneo e, per la sicurezza di entrambi, una nazione il cui destino sia deciso dal suo popolo e non da forze straniere"
Discorso simile può essere fatto per il Sahel…
"La sua stabilizzazione è fondamentale per l'Europa. Noi abbiamo una relazione storica con quella regione, ma il suo destino: è una questione comune a tutti. Noi siamo intervenuti nel Mali perché le autorità del paese l’hanno chiesto per contrastare un attacco terroristico sulla capitale. Appoggiamo il G-5 Sahel per fare in modo che i Paesi della regione siano padroni della loro la sicurezza. Ma hanno bisogno di aiuto. L'Italia è sempre più impegnata, ha una presenza militare in Niger ed è entrata nella Task Force Takuba. Dobbiamo agire a scala europea"
Sempre sul fronte difesa, Emmanuel Macron è apparso il leader più impegnato su questo tema. Però anche qui, specialmente a livello industriale, l’impressione è che vi sia competizione tra italiani e francesi. Come si coniuga questo con la difesa comune?
"In Europa, e in particolare in Italia, c'è la consapevolezza di promuovere l’autonomia strategica europea, che è una condizione per essere attori del ventunesimo secolo e non sudditi. Cosa vogliamo essere? Vogliamo essere protagonisti? Allora è necessario agire insieme, perché nessun Paese può farcela da solo. Come ha detto il premier Draghi 'non c'è sovranità nella solitudine'. Dobbiamo tenere anche in conto che gli Stati Uniti non vogliono intervenire ovunque. L'Europa deve fare la sua parte: la difesa Ue è complementare alla Nato. Questo vale anche per l’industria della difesa: davanti ai giganti di altri continenti, dobbiamo unire le nostre forze per avere la dimensione critica in termini di competenza e finanziamenti. E del resto l’industria della difesa è fatta oggi da nuovi programmi che sono tutti in cooperazione con altri Stati. Pensiamo ai missili, con MBDA, alla cantieristica, con la cooperazione fra Fincantieri et Naval Group, e nello spazio sui satelliti. Dobbiamo fare di più"
Si arriva al semestre Ue a guida francese: quali sono gli obiettivi di Parigi?
"La presidenza è un anello di una catena, un anello unito agli altri. La Francia ha tre temi: rilancio, perché è importante la ripresa sia forte e durevole. Questo vale per la politica industriale, la ricerca, i progetti di interesse comune Ue, e le regole di bilancio della zona euro. Secondo tema è l'autonomia strategica, un'Europa protagonista e attore globale, e in questo sarà fondamentale la 'bussola strategica'. Terzo elemento, appartenenza: più coesione, valori comuni, e l’affermazione del nostro modello europeo in diversi ambiti"
Tornando ai rapporti bilaterali e all'Europa. Un punto importante è la questione migratoria. Pensiamo a Lampedusa, a Calais, o quello che succedeva a Ventimiglia proprio tra i due Paesi. Cosa può dirci?
"Cercheremo di fare più progressi possibili durante la presidenza Ue. Non risolveremo tutto, ma dobbiamo partire da due elementi. Il primo è controllare e proteggere le frontiere esterne, per evitare i flussi illegali e i rischi per la sicurezza. Il secondo elemento è il diritto di asilo, che è sacro. Dobbiamo creare un sistema che trovi un equilibrio tra responsabilità del Paese che riceve e solidarietà e ricollocamento tra i vari Stati, perché nessun Paese sia lasciato solo. Questo deve andare però di pari passo con una dimensione esterna più forte, per dare sostegno ai Paesi di origine e transito per evitare le partenze e lottare contro il traffico di esseri umani. Naturalmente serve anche una politica di rimpatri più europea: chi non ha diritto all’asilo deve tornare al proprio Paese. Ma la protezione delle frontiere esterne è essenziale: se manca quella, è difficile avere la libera circolazione nella zona Schengen"
A proposito di sicurezza, per molto tempo i rapporti tra i nostri Paesi sono stati segnati dalla questione dei terroristi rifugiati in Francia. Una ferita per le famiglie delle vittime e un tema caro a molti lettori, le cose sembrano andare meglio ora
"Il Presidente Macron, sulla base del lavoro comune a livello di magistratura, ha deciso di trasmettere alla giustizia tutti i casi evidenziati, una decina, perché si pronunci sull'estradizione. Questa scelta è stata una decisione forte, che ha riconosciuto la ferita per il popolo italiano. Il lavoro è nelle mani della giustizia, ma è importante che sia avvenuto questo riconoscimento. L'Italia ha saputo gestire, nel rispetto dei diritti dell'uomo e della democrazia, una fase molto difficile della sua storia"
Francia e Italia sono due Paesi che hanno dato tantissimo alla cultura europea e mondiale. Il governo e Macron, con alcune recenti prese di posizione, sembrano essere in prima linea per difendere l'identità francese ed europea dalle derive della “cancel culture”. Italia e Francia possono unirsi in questo senso?
"Italia e Francia sono Paesi di grande cultura e siamo consapevoli della nostra storia, che non si deve rinnegare o cancellare. Certo, nel caso della Francia, c'è già un lavoro sul nostro passato, sulla nostra storia, in particolare per quanto riguarda la colonizzazione. Dobbiamo confrontarci con la storia, ed è molto importante che Italia e Francia dialoghino e si può fare già in vari ambiti e a livello di società civile e giovani.
Anche per capire come la nostra eredità culturale debba confrontarsi con nuovi fenomeni che possono sorgere nel dibattito pubblico. Dobbiamo fare un lavoro di memoria, questo sì. Ma è importante che nessun Paese lo faccia al posto di un altro".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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