Mia figlia nella Scozia-miracolo. Così ha trovato lavoro in un'ora

La tormentosa burocrazia che affligge il nostro Paese laggiù non esiste: bastano un codice fiscale (istantaneo) e un conto in banca (gratuito)

Ilaria Smiderle davanti al panorama di Edimburgo
Ilaria Smiderle davanti al panorama di Edimburgo

Aberdeen (Scozia) - In quest'estate piovosa e col Pil in retromarcia la cosa migliore è venire a ricaricarsi ad Aberdeen. Nell'ultima settimana di luglio, per dire, in questa città di mare, di campagna e di pozzi petroliferi offshore, c'è stato il sole sette giorni su sette. E il tasso di disoccupazione di questa ex area depressa della Scozia del nord non si è mai staccato troppo da un fisiologico 2 per cento. E io che per poco a maggio non facevo un infarto quando mia figlia, 20 anni, tre esami superati brillantemente al primo anno di Scienze Politiche, mi annunciò la sua intenzione di prendersi un anno sabbatico per venire a lavorare dagli highlander con la scusa di approfondire le conoscenze di una lingua che già parla piuttosto bene, ho cominciato a mettermi il cuore in pace.

Certo, si può capire anche quel diavolo del leader dell'Ukip, Nigel Farage, spaventato dall'invasione degli oltre 200 mila immigrati europei nel Regno Unito e concentrato nel mettere in difficoltà e rubare consensi ai conservatori del premier David Cameron a sua volta costretto a mettere un argine ai «privilegi» di cui godrebbero gli estranei. Sì, perché nel Regno (per ora) Unito hanno saggiamente mantenuto la sterlina ma applicano integralmente le direttive sfornate a Bruxelles. Questo ha permesso a Ilaria di fare il primo colloquio di lavoro della sua vita (cameriera in un hotel a 5 stelle, mica ingegnere in una piattaforma, per carità) e di essere assunta nel giro, stando un po' larghi, di un'ora. Il tempo di sentirsi chiedere il numero di conto corrente e del Nin (National insurance number, una specie di codice fiscale), di scendere all'ufficio del Job Centre Plus per avere il numero provvisorio e per accendere il conto, senza spese, alla banca più vicina, il Santander (unico documento richiesto, la carta d'identità e l'indirizzo di residenza in Scozia), di risalire per completare la firma del contratto, e il gioco poteva cominciare. Contratto a tempo indeterminato, senza articoli 18 e senza tanti fronzoli.

Uno dice: per forza che i giovani italiani scappano in Gran Bretagna. E per forza che i britannici s'incazzano. Così come gli insegnanti precari del nord Italia si infuriano perché le graduatorie sono falsate dall'assalto di quelli del sud, allo stesso modo i giovani scozzesi, in questo caso, si trovano una concorrenza più agguerrita pronta a rubare i posti che «spetterebbero» a loro. Questo in teoria. In pratica, siccome ad Aberdeen non si fa in tempo a chiedere un lavoro che l'hai già trovato, alla fine conviene pure alla Scozia, fin che l'economia tira, avere a disposizione tutti questi volenterosi.

I primi tre colleghi che mia figlia ha trovato sul posto di lavoro sono di tre nazionalità diverse: una lituana, un bulgaro e uno scozzese doc. Giovani studenti che lavorano d'estate per pagarsi gli studi d'inverno. Facoltà serie, ingegneria, economia, mica la Drama School a cui vorrebbe iscriversi Ilaria il prossimo anno per imparare a recitare in inglese a teatro, ma questo è un altro discorso.

L'unica rogna, da queste parti, è il costo delle case. Una cameriera al primo impiego non può certo permettersi di affittare un appartamento vicino a Union Street: te lo fanno pagare come se fossi a piazza Navona. Siccome Ilaria è venuta qui grazie a una cugina che la ospita e che ha deciso di vivere nella countryside di Aberdeen perché il marito è stato assunto da una multinazionale dell'Oil & Gas dove prende uno stipendio cinque volte più alto di quello che prendeva in Italia, il problema, per ora, è risolto.

La prima domanda che le hanno fatto davanti a una birra al pub, però, è stata, come dire, di tipo politico-istituzionale: «Yes or Better together?». La Scozia in questo momento è baciata dal sole e dalla crescita economica ma è divisa in due tra chi il prossimo 18 settembre voterà sì all'indipendenza (Yes, appunto) e chi invece, pur essendo altrettanto orgoglioso e geloso delle tradizioni di quella che ritengono la sola e unica patria che non ha nulla a che spartire con Londra, preferisce rimanere insieme dal punto di vista meramente amministrativo (Better together). Essendo europea e residente in Scozia, Ilaria ha il diritto di influire sul destino degli highlander. Deve solo registrarsi e poi potrà votare. Opinabile, ma è così.

Andando a fare un giro al mitico Pittodrie, lo stadio dell'Aberdeen Fc, la squadra con cui sir Alex Ferguson dal '78 all'86 ha vinto campionati, coppe nazionali e coppe europee prima di volare al Manchester United, ho capito però che il Regno resterà Unito. Dicono che i contrari all'indipendenza siano in vantaggio di pochi punti, nonostante in giro per la Scozia siano molto più visibili gli stemmi con scritto Yes propagandati senza requie dal primo ministro scozzese Alex Salmond. Conservatori, laburisti e liberali inglesi si sono impegnati a garantire ulteriore autonomia, lasciando tutte le tasse a Edimburgo, se gli elettori scozzesi voteranno contro l'indipendenza. Non ce n'era bisogno. Un giovane gommista, pura working class, che stava comprando l'abbonamento alle partite dei Dons per la prossima stagione grazie all'ultimo aumento di stipendio, mi ha spiegato che lui, come tanti altri, ha già deciso di votare no. «I favorevoli fanno più baccano - ha detto - ma la maggioranza teme di perdere la sterlina e il lavoro se andiamo per conto nostro. Non cambierà nulla, mi creda». E al primo dibattito trasmesso martedì sera dal canale scozzese Stv, l'ex cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling, che guida la campagna «Better Together», è sembrato più convincente del rivale.

Anche Ilaria voterà per non disintegrare il Regno Unito. L'ha convinta J.K. Rowlings, quella che ha accumulato milioni di sterline inventando Harry Potter.

Contrariamente a Sean Connery, lo 007 che fa il testimonial per la secessione, l'autrice di bestseller spinge per il no. Se ce l'ha fatta lei nel Regno Unito, ce la può fare anche una giovane cameriera italiana che sogna di diventare un'attrice di teatro nella patria di Shakespeare.

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