Gerusalemme - Giornata di normali missili per Israele, sono caduti su tutto il terreno nazionale, con due brutte sorprese: il primo ferito molto grave a Ashkelon, un ragazzino di 16 anni, più una decina di feriti leggeri; e alcuni missili sul Nord estremo di Israele, vicino al confine. Anche ieri erano piombati due missili dal Libano, probabilmente lanciati da un'organizzazione palestinese locale. Ma stavolta gli R16 piovuti su Haifa, la capitale del Nord e su Nahariya, meno di dieci chilometri dal Libano, non sono regali locali. È stata Hamas a lanciarli, per ottenere, con i missili da duecento chilometri di gittata, un effetto spettacolare.
Hamas sta cercando infatti di accumulare risultati che le consentano di proclamare la sua vittoria quando si arrivi a un qualche accordo fra le due parti. Ogni blitz è una carta da giocare in un eventuale trattativa, ma anche sul terreno interno, per dimostrare ai palestinesi che il potere è saldo, anche se un milione e 800mila cittadini soffrono dopo che è stato negato loro ogni sviluppo per 7 anni in nome di una scelta furiosamente bellicistica. Tuttavia ieri quando Israele ha diffuso tramite volantini e telefonate la richiesta agli abitanti della zona di Beith Lahia, 60mila abitanti nel Nord della Striscia, di lasciare le loro case perché alle 12 Israele avrebbe bombardato, qualcosa si è mosso. Il bombardamento, spiegava il volantino, era dovuto alla presenza nell'area di pericolose rampe di lancio e missili. Hamas aveva già ordinato nei giorni scorsi alla popolazione di non lasciare le case, in alcuni casi anche di salire sui tetti per dimostrare la resistenza del popolo palestinese, diceva. In realtà per difendere coi loro corpi, da veri scudi umani, le riserve belliche, le strutture di Hamas e i loro capi militari. Ma a sorpresa almeno 4.000 persone si sono rifugiatienelle scuole che l'Unrwa ha aperto per ricevere i fuggitivi. Nei termini della disciplina dell'organizzazione, molto pervasiva e minacciosa, non sono poche. I messaggi informavano che gli attacchi sarebbero stati brevi e che era intenzione dell'esercito solo attaccare le infrastrutture di Hamas.
L'aviazione israeliana ha poi attaccato verso le sei, ma la garnde fuga si è intensificata (si stimano ventimila civili diretti verso i rifugi) dopo l'annuncio di nuovi raid israeliani.
Israele nella notte fra sabato e domenica aveva utilizzato unità speciali che erano penetrate a piedi nel Sud della Striscia e avevano distrutto, riportando quattro feriti, un'importante postazione missilistica, individuata come origine del 10 per cento dei lanci. Sembra questa la tecnica del primo ministro Benjamin Netanyahu, cercare di evitare un'operazione molto costosa dal punto di vista delle perdite umane e dell'opinione pubblica internazionale, che di ora in ora, come al solito, si scalda in condanne umanitarie contro Israele, mentre il presidente dell'Anp Abu Mazen arriva a chiedere all'Onu «protezione internazionale per la Palestina».
Se per caso Hamas dovesse riuscire in uno dei suoi tentativi di compiere una strage o con un attacco terroristico o con un missile, allora Bibi dovrebbe fermare i missili in ogni modo e subito. Fidando sul sistema «Kipat Barzel» e sulla rete di rifugi che salva vite umane senza sosta, il governo al momento seguiterà con azioni dall'aria, mentre cerca una soluzione senza equivoci e con una ragionevole prospettiva temporale di quiete. Si ripete l'idea che Hamas potrebbe consegnare i suoi missili a un terzo attore, 2000 sono stati distrutti, 700 sono stati usati, e ne restano nella mani di Hamas la bellezza di diecimila, fra cui 200 di lunga gittata. Un obiettivo che mette l'asta della pace molto alta. Comunque, da Tony Blair al Qatar, tutti cercano un posto al sole di qualche accordo, mentre l'Egitto con l'aria di darsi da fare in realtà aspetta che Israele distrugga il suo nemico Hamas.
Tutti danno volenterosi segnali di preferire la pace alla guerra, fuorchè il partner più naturale, gli Stati Uniti. Obama dichiara di essere molto concerned, preoccupato, ma non si sa di nessuna iniziativa che coinvolga un'America sempre più indifferente e assente dalle svolte importanti del mondo.
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