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Sull'immigrazione la sinistra europea sta con la Meloni. Ma il Pd continua a non capire

La premier danese Fredriksen vince le elezioni con una piattaforma di destra sull'immigrazione. E tutta la Sinistra nordica sta svoltando sul tema

Sull'immigrazione la sinistra europea sta con la Meloni. Ma il Pd continua a non capire

Quando Boris Johnson, leader del Partito Conservatore britannico e premier di Londra, propose accordi col Ruanda per la gestione dei profughi fu travolto dalle critiche, quando a proporli è la socialdemocratica Mette Frederiksen, riconfermata premier dopo le recenti elezioni, l'Europa ha fiatato. Ma l'abilità della Fredericksen è stata, nei mesi scorsi, quella di vendere all'elettorato di sinistra di uno dei Paesi più progressisti d'Europa soluzioni di fatto organiche alla destra europea presentandole come soluzioni pragmatiche.

Il programma elettorale dei Socialdemocratici danesi (SD) alleati del Partito Democratico e della Spd tedesca nel Partito Socialista Europeo e dell'Alleanza Progressista, sul fronte delle migrazioni supera a destra anche quello del governo di Giorgia Meloni, come ricorda Italia Oggi: "Punto primo, i richiedenti asilo saranno trasferiti in Ruanda. Punto secondo: i migranti che delinquono, dopo la condanna, saranno trasferiti in carceri del Kosovo, prese in affitto. Punto terzo: i permessi di soggiorno già concessi saranno ritirati agli immigrati provenienti da paesi in cui la situazione è migliorata per la fine della guerra". Un piano pragmatico che vincola all'emergenzialità la gestione dell'immigrazione ma, al contempo, vuole offrire una diversità di azioni tra accoglienza di profughi e gestione emergenziale delle persone giunte nel Paese per motivi contingenti di necessità. E "che non si tratti di semplici declamazioni propagandistiche, lo conferma il fatto che il governo Frederiksen si era attivato per realizzarli prima delle elezioni".

La 44enne leader della sinistra danese, attivissima sui social che usa per pubblicizzare ogni scelta politica e momenti di vita privata (celebre la serie di storie in cui mostra il suo apprezzamento per lo sgombro in scatola) è diventata il più giovane primo ministro del Paese nel 2019. Un posto, quello di premier di Copenhagen, che sembra destinata a mantenere dopo che il suo blocco di sinistra si è assicurato una maggioranza risicata nel voto legislativo di martedì: 90 seggi su 179 andranno ai partiti che sostengono il governo uscente, e con il 27,45% i Socialdemocratici del premier sono stati il partito più votato, con il miglior risultato da vent'anni a questa parte.

Frederiksen si era dimessa un mese fa e aveva convocato elezioni anticipate dopo che uno dei suoi alleati, il partito social-liberale Sinistra Radicale, ha aperto la crisi di governo dopo aver criticato le politiche adottate dal suo governo per contrastare la pandemia da coronavirus e la decisione di abbattere milioni di visoni, senza base legale, per il timore che una mutazione del virus negli animali potesse rendere meno efficaci i vaccini. Alle elezioni-lampo ha presentato la stessa piattaforma con cui ha vinto le elezioni del 2019: forte spostamento nella direzione del protezionismo e degli investimenti pubblici in campo economico, conservatorismo su quello dell'immigrazione.

Sotto la guida di Frederiksen SD ha chiesto un limite agli "immigrati non occidentali", che i richiedenti asilo siano espulsi in un centro di accoglienza in Nord Africa e che tutti gli immigrati siano costretti a lavorare 37 ore alla settimana in cambio di benefici sociali. In passato ha contattato il partito populista del popolo danese (DPP), facendo una serie di interviste congiunte con il suo leader, Kristian Thulesen Dahl, e discutendo di cooperare con loro nel governo. "L'anno scorso ha fatto scalpore il fatto che il governo Frederiksen ha tolto il permesso di soggiorno a 94 profughi dalla Siria e riaperto le procedure per altre centinaia di immigrati", ricorda Italia Oggi. Ma non stupisca, in quest'ottica, che a promuovere un piano del genere sia un'esponente della Sinistra nordica, al tempo stesso tra le più avanzate sul fronte del lavoro e tra le più controcorrenti quando necessario. Frederiksen è l'ultima capa di governo figlia della militanza sindacale d'Europa, da ex militante passionaria in campo per le battaglie contro la caccia alle balene, la deforestazione e la guerra è divenuta leader pragmatica che ha capito come le classi operaie e lavoratrici dell'Occidente siano le grandi perdenti della globalizzazione. E ha proposto politiche di gestione dell'immigrazione volte a bilanciare le necessità dell'accoglienza e quella delle fasce più deboli della popolazione, al fine di creare quelle guerre tra poveri che si sono tristemente viste nelle zone meno controllate dalle autorità in Svezia.

"Per me, sta diventando sempre più chiaro che il prezzo della globalizzazione non regolamentata, l'immigrazione di massa e la libera circolazione del lavoro sono pagati dalle classi inferiori", dichiarava la leader socialdemocratica prima del voto del 2019. Su questo assioma si è fondata la sua politica nell'ultimo triennio e proseguirà negli anni a venire, in un trend che ha conquistato il resto del Nord Europa. Celebre la scelta della premier Sanna Marin di proporre la costruzione di un muro tra Finlandia e Russia che servirà, alla bisogna, contro eventuali profughi provenienti dalla Federazione in caso di crisi, degna di nota anche la svolta restrittiva della Sinistra svedese poco prima delle elezioni vinte dal centro-destra a settembre: negli ultimi mesi del governo socialdemocratico ha fatto scalpore la posizione di Anders Ygeman, ministro per la Migrazione e l’asilo, nel corso di un’intervista rilasciata a The Local, ha dichiarato che in futuro il Paese dovrebbe privilegiare un’immigrazione favorevole al rafforzamento dell’economia nazionale. “Se vuoi venire qui a lavare i piatti per 5mila corone al mese [meno di 500 euro al mese, ndr]”, ha detto il ministro “allora mi dispiace, ma non vogliamo sfruttarti. E non vogliamo che quel tipo di immigrazione di forza lavoro influisca sul mercato svedese”, ha sottolineato sdoganando un tema spesso cavalcato dagli Svedesi Democratici. Un tema questo già capito in Danimarca da Fredriksen.

Che ha inaugurato da anni una svolta ora trasmessasi in tutta la Scandinavia e non capita da una Sinistra del Vecchio Continente che, compreso il Pd italiano, ha sempre pensato più a esaltare la globalizzazione che a governarne le conseguenze per le fasce più deboli della popolazione.

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